Una fortunatissima espressione di Tertulliano definisce il Padre nostro «breviarum totius evangelii». Questa definizione, orientata all'origine verso il messaggio spirituale contenuto nella "preghiera del Signore", può ora, in un certo senso, essere applicata anche alla ricerca delle fonti o, più in generale, all'indagine critica degli scritti neotestamentari. Ogni uomo che prega, al di là della religione che professa, vive quotidianamente il pericolo della superficialità: tante parole, desiderio di finire presto, assenza delle intenzioni del cuore. La più antica e originale preghiera cristiana indica con chiarezza l'atteggiamento di chi prega e l'oggetto della preghiera, in modo liberante. Attraverso un prezioso commento teologico che prende in considerazione pure la nuova traduzione italiana recentemente adottata anche in ambito liturgico, Piero Stefani conduce il lettore a riappropriarsi del testo consegnatoci da Gesù a partire dalle sue radici ebraiche. L'autore riesce a spiegare in modo semplice il significato di ciò che si domanda nel Padre nostro: aumentando la consapevolezza della "richiesta", cresce infatti anche la sua efficacia.
Due interventi brevi e profondi intorno al silenzio, tema cruciale sia per la riflessione religiosa che per l'analisi della società contemporanea. Una dimensione costitutiva dell'uomo sempre più messa a rischio, con la conseguenza di parole svuotate di senso in un inutile, diffuso brusio. Il biblista ed ebraista Piero Stefani parte dalla Bibbia (che in quanto racconto scritto rappresenta un primo, insuperabile ammutolirsi della parola divina) per indagare la sfida dell'apparente silenzio di Dio davanti a situazioni come Auschwitz o la storia di Giobbe. Il filosofo Silvano Zucal propone un approfondimento su questa ricchezza dell'umano a partire dalla dialettica costitutiva tra il silenzio e le parole, considerando i rischi di una parola che smarrisce senso e comunità.