A cento anni dalla nascita di Vittorio Sereni pubblichiamo il volume che contiene uno degli epistolari decisivi di Sereni poeta, uomo e uomo di cultura. Il rapporto con Luciano Anceschi dura quasi un cinquantennio e conta 257 missive, dagli anni universitari (complice il magistero di Antonio Banfi) all'anno della morte di Sereni avvenuta nel 1983. Al di là dell'afflato amicale, lo scambio diventa prestissimo tessitura di considerazioni sulla poesia, sulle letture comuni, sulla singolare tensione aperta fra il critico e il poeta. Entrambi solitari o comunque appartati, disegnano attraverso questo "dialogo sulla poesia" uno dei più importanti documenti sulla cultura italiana del secondo Novecento. Vi appaiono inoltre le incertezze e le contraddizioni del poeta diviso fra il verso e la "tentazione della prosa": come rammenta Niva Lorenzini, "lungo il carteggio si profila una interrogazione continua circa la solidità e autenticità di una vocazione messa ogni volta in discussione da Sereni, non senza asprezza, talora con astio". E d'altro canto è proprio da lì che si muove la complessa gestazione di quella "parca, sapiente modulazione armonica", come dice Pier Vincenzo Mengaldo, che è di fatto la voce della sua poesia. Il carteggio restituisce progetti, confessioni, conflitti, scommesse dentro un panorama che non è solo letterario, ma alla letteratura finisce con il tornare, con benefica ossessione.
Il volume pubblica le sentenze del Tribunale della Rota inerenti all'anno 1935: un servizio" utilissimo per guiristi e cultori di Diritto canonico. "
Quella per la conquista dell'Etiopia fu la prima guerra voluta e vinta da Mussolini e, insieme alle due guerre mondiali, la terza guerra di massa degli italiani nel corso del Novecento. Cosa fu veramente per coloro che la combatterono? Quale impero pensavano di costruire? Di quale razzismo erano intrisi i loro comportamenti? Nei decenni della Repubblica a rivendicarne il ricordo sono stati soprattutto reduci ammalati di "mal d'Africa" o nostalgici e rancorosi. Basato sulle memorie dei combattenti, il libro illustra il tema in relazione al colonialismo fascista e al postcolonialismo repubblicano.
Il cinema è non solo presenza ricorrente nella narrativa di Roth, ma anche oggetto di splendidi feuilleton e recensioni - nell'insieme un centinaio di interventi, compresi per lo più fra il 1919 e l'inizio degli anni Trenta, di cui si offre qui una ampia e rappresentativa scelta. Appassionato di Buster Keaton, capace di liquidare il sentimentalismo di un'epoca intera, cultore di documentari e film etnologici, Roth sa essere sferzante come pochi e non risparmia perfidi strali a osannati registi, si chiamino Lang o Ejzenstejn né, ovviamente, ai più turgidi colossal: come "Messalina", contraddistinto da "una noia colossale", sicché, egli confessa, "abbiamo il nostro bel daffare a tenerci svegli. Ci sentiamo stanchi come dopo una festa di matrimonio o un banchetto funebre durati giorni e giorni". Quando visita i set, poi, è un grandioso, rutilante bestiario che si offre al suo sguardo implacabile: registi onnipotenti, operatori pedanti, comici presenzialisti, ricchi produttori, dive irresistibili e tiranniche che si scelgono ruoli cuciti sul loro corpo: senza che di quel corpo "il povero sceneggiatore abbia potuto cogliere anche un solo barlume". Ma quel che più conta è forse l'attenzione, acutissima e preveggente, rivolta sin dai primi testi alla capacità del cinema di creare simulacri: i meravigliosi prodigi dello schermo significano per Roth che la realtà, così ingannevolmente imitata, non era poi tanto difficile da imitare...
Tra il 1935 e il 1945 l'Italia fu in guerra senza interruzioni in Etiopia, Spagna, nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa settentrionale, in Russia. Dal 1935 al 1941 il governo italiano dichiarò guerra a: Etiopia, Spagna, Albania, Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Stati Uniti. In questo libro, la sintesi aggiornata e completa di questi conflitti. Una storia militare che mette in luce la continuità tra la politica fascista e il ruolo che le forze armate ebbero nel tradurre in atti concreti la ricerca di potenza nazionale: il principale scopo e giustificazione della dittatura mussoliniana.
Prosegue la pubblicazione delle agende di Benito Mussolini. Il 1935 è un anno denso di avvenimenti cruciali per l'Italia, con il paese che cerca di organizzare la propria crescita industriale mentre insegue un ruolo da protagonista in politica estera. È infatti l'anno in cui si concretizza l'avventura coloniale, con l'invasione dell'Africa orientale e la Guerra di Etiopia, ma sono anche i mesi di una cruciale partita a scacchi all'interno della Società delle Nazioni. Il tutto mentre il paese è alle prese con scelte difficili per ricostruire la propria economia. Un documento inedito che racconta i retroscena degli anni che hanno segnato la storia moderna dell'Italia. Con la riproduzione del manoscritto "Diario 1935".
Il carteggio tra Divo Barsotti e Giuseppe Dossetti si snoda per oltre quarant'anni, dai primi anni cinquanta a metà degli anni novanta del Novecento, e testimonia l'evolversi del rapporto tra l'inquieto sacerdote pisano e uno dei protagonisti più originali della vita politica, istituzionale e religiosa del Novecento italiano. Nelle lettere emergono i problemi che attraversano le loro vite, la storia del paese e le vicende della Chiesa italiana: domande sull'autenticità e sulla fedeltà alle proprie scelte, sulle difficoltà di relazione con la Chiesa degli anni '50, sui possibili modi di essere cristiani nel tempo e nella storia, sui profondi bisogni di rinnovamento e di riforma ecclesiale. Spesso il discorso si allarga ed emerge la ricca trama di contatti e avvenimenti in cui si inserisce il loro rapporto: la vita politica nazionale da cui Dossetti è uscito, lasciando una complessa e discussa eredità; la vivacissima Firenze degli anni '50 e '60, con Giorgio La Pira e molti altri; la vita locale, politica ed ecclesiale di Bologna. Anche i grandi fatti della storia internazionale sono presenti: la guerra del Vietnam, la tensione tra i due blocchi, occidentale e sovietico, le questioni mediorientali e il conflitto israelo-palestinese. Le lettere rappresentano così il racconto di due vite, attraverso cui rileggere alcune delle questioni cruciali della fede cristiana e della società italiana del secolo scorso. Questioni che, a ben vedere, giungono fino ai nostri giorni.
Giovane antifascista proveniente da una famiglia della borghesia ebraica piemontese, Vittorio Foa venne arrestato il 15 maggio 1935 a Torino, su delazione dell'informatore dell'Ovra Pitigrilli. Poco dopo l'arresto fu trasferito a Roma, nel carcere di Regina Coeli e denunciato al Tribunale Speciale fascista. Due anni prima Foa era entrato in «Giustizia e Libertà» e ben presto aveva assunto un ruolo di primo piano nella cospirazione antifascista. Foa resterà in carcere fino al 23 agosto 1943. Negli otto anni, tre mesi e otto giorni di reclusione gli fu concesso di scrivere soltanto ai famigliari piú stretti.
Nelle lettere selezionate per questa edizione, le riflessioni di Foa su se stesso e sulla sua esperienza carceraria si intrecciano con analisi storiche, economiche e letterarie che descrivono il suo modo di pensare e la sua educazione politico-intellettuale: una testimonianza chiave da trasmettere alle nuove generazioni.
Cogliere il pensiero di Lonergan in evoluzione, significa inserirlo nel più ampio contesto dell'attuale sviluppo, o crisi che dir si voglia, della teologia. Basti accennate a problemi quali: i rapporti tra esegesi e teologia; qual è l'impatto della modernità sulla teologia; l'importanza delle categorie "storia" e "storicità" e la loro connessione con il carattere trascendente della verità; l'ecumenismo e il dialogo con le grandi religioni. Il filo rosso che lega tutti questi discorsi è sempre la cristologia, che Lonergan ha insegnato e sulla quale è spesso tornato, ma che non ha mai concluso con un lavoro di sintesi. Forse perché era un cantiere troppo vasto per essere racchiuso in una sola opera.
Tra gli anni Quaranta del XIX secolo e l'avvento del nazismo in Germania la maggior parte dei fisiologi tedeschi abbracciava il "credo meccanicistico", conformemente al quale la spiegazione dei fenomeni fisiologici doveva fondarsi sulle sole forze della fisica. Questa versione del fisicalismo si destreggiava tra il gretto materialismo (secondo lo slogan: l'uomo è ciò che mangia) e lo spiritualismo, alla base del quale c'era l'idea che ogni fenomeno fisiologico è espressione di una "forza vitale" non fisica e non meglio specificata. Pertanto i fisiologi tedeschi ammettevano bensì l'esistenza della vita psichica, dei pensieri, delle percezioni, dei sentimenti e delle emozioni, ma si rifiutavano di darne una descrizione fisica. Avendo preteso che il compito della fisiologia è la spiegazione dei fenomeni vitali, ne conseguiva una concezione impoverita della vita.
Oggetto di questo lavoro è l'impatto coloniale, o meglio, l'impatto che ebbe la nascita dell'impero italiano e come questo è stato visto e vissuto dai sudditi coloniali. Il saggio - che utilizza sia fonti scritte (documenti d'archivio e letteratura) che fonti orali (ventisei interviste svolte nell'arco di due mesi, ad alcuni ex ascari residenti ad Asmara) - cerca di individuare e comprendere le condizioni e le impostazioni politiche dell'amministrazione coloniale italiana, cioè di capire le motivazioni che determinarono alcune scelte di politica indigena, e soprattutto, come queste scelte influirono sulla vita, e come furono percepite, dai sudditi coloniali.