Negli anni a cavallo fra Otto e Novecento, quando in Austria e in Germania si diffonde la filosofia nietzscheana del linguaggio, e tanto Kafka con Descrizione di una battaglia quanto Hofmannsthal con il Lord Chandos rendono testimonianza della crisi, il giovane Rilke non sembra avvertire il problema della non-corrispondenza fra parola e cosa. Dotato di un infallibile istinto musicale e di una straordinaria abilità nel dominare la lingua, vive i suoi inizi di poeta nella convinzione di possedere la capacità di piegare qualsiasi soggetto alle leggi del metro e della rima. La lirica giovanile è segnata da una soggettività prepotente, da un io che celebra il proprio mondo interiore, gli stati d'animo, le impressioni, e la propria maestria. Passato per i successi del Libro d'ore e del primo Libro delle immagini, Rilke si accorge però, con fatica e sofferenza, che per garantire qualità e durata alla sua poesia deve riconoscere un valore autonomo al mondo fenomenico. Comincia così, intorno al 1903-1904, la ricerca formale e filosofica che porterà alle Nuove poesie e di lì, attraverso una crisi di molti anni, alle Elegie duinesi, ai Sonetti a Orfeo e alla lirica della maturità, le grandi raccolte comprese nella presente edizione.
La guerra cristera (o Cristiada) rappresenta un evento drammatico non solo per il Messico ma per il cattolicesimo universale, protagonista dal 1926 al 1929 di uno sforzo di mobilitazione senza precedenti a sostegno dei cattolici messicani perseguitati dal governo rivoluzio- nario laicista e anticlericale di Plutarco Elías Calles. In prima linea, sia nel contrastare la "congiura del silenzio" che sembra avvolgere la persecuzione della Chiesa in Messico sia nel favorire la soluzione di- plomatica del conflitto armato, è la Santa Sede, i cui archivi permet- tono oggi di ricostruire le riflessioni e i dubbi che hanno attraversa- to la Curia di Pio xi, insieme alle decisioni prese dal pontefice e dai suoi collaboratori. Oltre al problema della legittimità del ricorso alle armi contro l'autorità costituita, affrontato dal papa all'insegna del realismo ma al tempo stesso in continuità con la dottrina tradizio- nale, il conflitto religioso messicano pone all'ordine del giorno altre questioni, come la difficile convivenza delle preesistenti organizza- zioni del laicato cattolico con la nuova Azione Cattolica di Pio xi, o come la possibilità di introdurre in Messico il modello statunitense di separazione tra Stato e Chiesa per una effettiva libertà religiosa. Agli occhi di Achille Ratti, che in quegli anni assiste all'avanzata dei regimi autoritari e totalitari in Europa e alla diffusione dell'ideologia comunista su scala globale, la questione messicana è tutt'altro che periferica, in quanto porta il magistero pontificio a misurarsi con sfide decisive per la storia della Chiesa.
La vita di Gramsci prigioniero del fascismo fu tormentata dall'angoscia e dai sospetti: l'angoscia per essere stato "messo da parte" politicamente e "dimenticato" anche dalla moglie; i sospetti che Togliatti e il Pcd'I ne sabotassero la liberazione. Nella sua condizione Gramsci vede riflessi i drammi della "grande storia" ed elabora una revisione profonda dei fondamenti del bolscevismo: la concezione della politica e dello Stato, l'analisi della situazione mondiale, la teoria delle crisi e la dottrina della guerra. Nei "Quaderni del carcere" si sedimenta così un nuovo pensiero col quale si riprometteva di dare battaglia, una volta libero, per mutare gli indirizzi del movimento comunista. Al tempo stesso, attraverso l'epistolario ne comunica i capisaldi a Togliatti, proseguendo il duro confronto che li aveva divisi alla vigilia del suo arresto. È un "capolavoro" di comunicazione in codice che contempla atti di ribellione contro la sconfessione della sua politica e aspre denunce per la sua mancata liberazione. Sullo sfondo, la lotta eroica per non cedere ai ricatti di Mussolini e difendere condizioni minime di sopravvivenza. Collocati nella storia, si sciolgono gli enigmi che hanno scandito per lunghi anni gli studi gramsciani, originati dalla scissione fra la sua vita e il suo pensiero.
Com'è noto, il problema dei rapporti tra religione e politica in Italia è stato, nei decenni scorsi, al centro di una vivace discussione storiografica. Già nei primi anni del pontificato di Pio IX, in una fase cioè in cui tutta la nostra storia nazionale era dominata dall'aspirazione al riconoscimento delle libertà politiche e civili ed alla costituzione di uno Stato unito ed omogeneo, dalle Alpi alla Sicilia e alla Sardegna, nei circoli politici e religiosi, si discuteva animatamente di "neoguelfismo", cioè di quella corrente di pensiero capeggiata dal Gioberti, che negli anni immediatamente precedenti e seguenti l'elezione di Pio IX (1846), si proponeva di conciliare la causa liberale e patriottica con la religione cattolica, cioè con il più importante fattore di unità della nazione italiana, e con il magistero della Chiesa. Al Congresso di Bologna del 1919 don Sturzo spiegò perché il Partito Popolare non è, né può dirsi un "partito cattolico": "(...) i due termini sono antitetici; il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione..."
Nel nostro Paese si gioca a calcio dai tempi in cui Federico Nietzsche baciò un cavallo a Torino. E, in quegli anni, una certa dose di follia e uno spirito anticonformista erano necessari anche per rincorrere in calzoncini una palla, sforzandosi di applicare le regole d'uno sport britannico chiamato association football. Quel gioco, per noi, è diventato nel tempo una faccenda maledettamente seria. Così, se si volesse eleggere un 'padre del calcio italiano' non ci si accorderà mai: il vogatore Bosio o il visionario Duca degli Abruzzi? Herbert Kilpin, il viscerale figlio del macellaio, o il compassato medico Spensley che, al peggio, imprecava in sanscrito? Per certo, furono tutti pionieri, e il gioioso contagio, originato a Torino e Genova, raggiunse ben presto ogni città del Paese, dando vita a squadre, competizioni e rivalità che ancor oggi infiammano i cuori. Ripercorrere l'infanzia del calcio comporta un viaggio emozionante ai confini del mito: qui si raccontano gli anni d'oro di Genoa, Pro Vercelli e Bologna, e i primi trionfi di Milan, Juventus e Inter. Si narra del caleidoscopio delle squadre attive a Roma, Firenze e Napoli all'alba del XX secolo, e degli esordi della Nazionale; di esotiche tournée, scissioni e disordini di piazza; di atti d'eroismo e burle indimenticabili e, ancora, di come il 'meraviglioso giuoco' sopravvisse all'inaudito massacro della Grande Guerra, per divenire fenomeno di massa nella prima, turbolenta, metà degli anni Venti...
´ComíË possibile che la pi˘ audace, la pi˘ profonda delle rivoluzioni sia degenerata nella pi˘ completa schiavit˘? PerchÈ la rivoluzione russa nella sua prima tappa rappresenta il pi˘ moderno dei progressi sociali e nella tappa successiva Ë sboccata nella menzogna sociale, nello sfruttamento e nellíoppressione perfezionata? Che cosa puÚ spiegare una contraddizione cosÏ enorme?ª.
Sono queste alcune delle domande a cui Nel paese della grande menzogna riesce probabilmente a fornire la pi˘ completa e approfondita spiegazione che sia mai stata tentata, insieme ad un ridottissimo numero di altri lavori, sulla realt‡ della Russia ´comunistaª. Al punto che, considerato il suo valore testimoniale, potremmo azzardarci a definire tale scritto come una sorta di Odissea dei tempi moderni. Una narrazione avventurosa in cui Ante Ciliga Ë stato capace di decifrare, con una prosa al medesimo tempo densa e suggestiva, tutte le sfaccettature di quello che senza alcun dubbio rappresenta uno dei pi˘ complessi ´enigmiª presentatisi alla ribalta della storia in questo scorcio di fine millennio.
Dopo avervi soggiornato circa dieci anni esplorandone a fondo le molteplici variet‡ dei suoi paesaggi, i ´nuoviª rapporti economici e sociali scaturiti dalla Rivoluzione díOttobre, le alte sfere della burocrazia, il ruolo centrale occupato dalla polizia politica, le prigioni e líesilio siberiano, líautore Ë giunto allíamara constatazione che ´Ë pi˘ facile uscire dallíinferno di Dante che dalla Russia sovieticaª. E tuttavia egli Ë riuscito a sopravvivere ai suoi aguzzini e a consegnarci il distillato della sua straordinaria esperienza. Per queste ragioni non si puÚ che accogliere con favore líuscita di questa prima edizione critica e integrale in lingua italiana dellíopus magnum di Ciliga, che viene ora finalmente a colmare un vuoto durato troppo a lungo.