L'incontro avvenuto nell'Ottocento tra la società europea, guidata allora dalla Gran Bretagna, e l'impero cinese Qing chiuso in se stesso non ebbe il carattere dell'idillio e della felice scoperta reciproca. Per secoli il Celeste Impero, come si autodefiniva la Cina, ha gestito intense e redditizie esportazioni di rabarbaro, tè, seta e porcellane, limitando le importazioni a esigue quantità di cotone e lana. Per gli scambi con l'Occidente era aperto un solo porto, quello di Canton, e tutte le trattative dovevano passare attraverso pochi mercanti cinesi autorizzati. Agli stranieri era proibito entrare in città, aggirarsi per la campagna, studiare il cinese così come insegnarlo, e terminata la stagione delle contrattazioni dovevano ritirarsi. Le navi partivano dai porti inglesi con le stive vuote, cariche solo dell'argento necessario a effettuare gli acquisti. La situazione cambiò quando la Compagnia delle Indie iniziò a importare in Cina oppio in grandi quantità. Si trattava di una merce conosciuta da lungo tempo, utilizzata in Europa e in India tanto come medicinale quanto per le sue doti euforizzanti, e ben accetta al mercato cinese. Il tentativo del governo imperiale di Pechino di proibirne il commercio sul proprio territorio portò a due guerre, combattute a distanza di pochi anni contro il Celeste impero (1839-42, 1856-60), la prima dai soli inglesi, la seconda da inglesi e francesi. In entrambe le occasioni, la Cina venne pesantemente sconfitta e fu costretta ad accettare gravosi trattati di pace che prevedevano cessioni territoriali e la completa apertura del mercato cinese alla penetrazione commerciale e ideologica occidentale. L'eco della lunga stagione di conflittualità interna, guerre e rivolte che ne seguì risuona ancora nella storia presente della potenza asiatica. In un'appassionante e documentata narrazione, che va dai primi tentativi europei di creare rapporti diplomatici «paritari» con l'imperatore Qing al termine dei «trattati ineguali» imposti dalle potenze occidentali al governo cinese, Sergio Valzania indaga una pagina di storia poco nota ma fondamentale per comprendere gli equilibri attuali, sia sul piano culturale che economico.
In questi tre volumi le Edizioni Ares ripropongono fedelmente in copia anastatica la monumentale opera ottocentesca di Giacomo Margotti "Memorie per la storia dei nostri tempi", salvandola dall'oblio. Sacerdote e giornalista, amico del papa e conosciuto nella Corte dei Savoia, Margotti fu elemento di primissimo piano nel panorama culturale e politico ottocentesco. In sei volumi, raccolti fin dalla seconda edizione nei presenti tre tomi, egli racconta il Risorgimento come lo ha vissuto giorno per giorno, dando dettagliata cronaca di quanto successe negli anni 1856-1866. Come un coraggioso giornalista d'inchiesta, Margotti ebbe una vita avventurosa e scampò miracolosamente a un attentato il 27 gennaio 1856; e quando, un anno più tardi, divenne deputato, la sua elezione fu arbitrariamente invalidata. In effetti, in queste pagine si rivive in presa diretta come corruzione e tradimento siano state le armi principali utilizzate dal potere sabaudo nella campagna di unificazione, pervenendo a una lettura del Risorgimento assolutamente in controtendenza rispetto a tutta la storiografia tradizionale successiva. Questo perché, sottolinea la storica Angela Pellicciari nella sua introduzione, sono sempre i vincitori a scrivere la Storia e si tendono a cancellare le tracce degli oppositori che ne denunciarono soprusi e ingiustizie.
In queste lettere discrete, complici, appassionate e sofferte, la Storia e la nascente Italia unita appaiono sullo sfondo di un anomalo, estremo romanzo d’amore. Protagonista, nei messaggi che Cavour scrisse all’ultima donna della sua vita, Bianca Ronzani, è la passione sincera di un uomo conscio delle proprie fragilità e dei propri sentimenti. Non c’è spazio per simulazione o compiacimento in questi messaggi spesso frettolosi, scritti tra il 1856 e il 1861. La politica stessa vi si mostra per quel che è, nella sua dimensione meno nobile, e i suoi protagonisti appaiono alla luce di una quotidianità che li rende più umani e ne svela tratti insospettati e inimmaginabili tristezze. In una prosa schietta, ironica e autoironica, Cavour non teme di confrontarsi con il tempo che passa, con l’amore per una donna molto più giovane e con i bilanci di una vita che non lo soddisfa più. Lasciati alle spalle tutti i desideri, la gloria e la vita mondana, uno solo è l’antidoto al peso dei giorni: «la Bian - ca» – con lei, il tepore del suo affetto.
Politico e patriota italiano, Camillo Benso conte di Cavour fu ministro del Regno di Sardegna, capo del governo e, infine, primo presidente del Consiglio del Regno d’Italia. Perseguì una politica liberoscambista e si affermò come leader della destra liberal-moderata. Divenuto presidente del Consiglio, attuò programmi di ammodernamento e di sviluppo economico e civile, affermando la piena laicità dello Stato. Svolse una intensa attività diplomatica e politica verso gli stati italiani e verso le forze liberali e democratiche, convincendo gli altri statisti europei ad affrontare la questione italiana al congresso di Parigi del 1856, dopo la guerra di Crimea. Fu il fautore dell’accordo con la Francia (Plom bières ’58), preludio alla seconda guerra d’Indipendenza. Morì il 6 giugno 1861 poco dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia.