«"Un crocifisso romanico non era in origine una scultura né la Madonna di Duccio un dipinto...", osservava André Malraux. Ci proponiamo di capire cosa fossero, prima di divenire "dipinti", i pannelli assemblati nei polittici dell'Europa meridionale, e più precisamente italiani, del Quattrocento e degli inizi del Cinquecento, cui può convenire il termine generico di "pala". Quel che ci attrae è la qualità essenziale della pittura, quel che ci affascina sono l'autorevolezza dei grandi stili, il prestigio dei grandi nomi. Un'interpretazione puramente formale non basta tuttavia a soddisfare le nostre attese. Ci si trova dinanzi a continui interrogativi: a cosa corrisponde la distribuzione dei pannelli? Cosa si cela dietro la rappresentazione? Cambiamenti spettacolari scandiscono la storia del Quattrocento, ma chi ne è l'artefice? A quali esigenze rispondono dunque tali e tante peculiarità? È a questi quesiti che cercheremo di rispondere. Sono la filigrana del nostro lavoro».
"Il fenomeno artistico, se dev'essere compreso veramente nella sua compiutezza e nella sua peculiarrtà, affaccia di necessità una duplice pretesa: da un lato di venir compreso nella sua condizionatezza, ossia di essere inserito nel nesso storico di causa ed effetto; dall'altro di essere compreso nella sua assolutezza, ossia di essere sottratto al nesso storico di causa ed effetto e di venir inteso, al di là della relatività storica, come una soluzione, estranea al tempo e al luogo, di un problema che è estraneo al tempo e al luogo. In ciò consiste la peculiare problematiea di qualsiasi indagine che rientri nelle scienze dello spirito, ma insieme la sua peculiare attrattiva: 'due debolezze' dice una volta Leonardo parlando degli archi in architettura 'insieme costituiscono una forza'".
Il trattato su "Il Sublime", un piccolo gioiello della letteratura greca di età imperiale, contiene una delle più antiche, e senz'altro la più importante, fra le riflessioni classiche sulla natura della bellezza letteraria, rappresentata dalla parola hypsos, "vetta" o "apice", e metaforicamente "sublime". Il fine dell'opera è didattico e pratico: l'autore si propone infatti di insegnare "come noi possiamo elevare le nostre doti naturali" al punto da poter creare un'opera così elevata che innalzi alla propria vertiginosa altezza l'animo di un lettore o di un ascoltatore. I suoi precetti non sono meramente tecnici: li sostanziano infatti due attitudini naturali quali la magnanimità (che si apre ad una prospettiva metafisica) e la passione. Ma di più: come già osservò il primo traduttore francese dell'opera, Nicolas Boileau (1674) "en parlant du Sublime, il est lui-mesme tres-sublime". L'Antichità classica e il Medioevo non si mostrarono generosi verso questo testo, a noi giunto attraverso un unico manoscritto bizantino, per di più lacunoso. Fu solo la traduzione del Boileau, poco più di un secolo dopo la prima edizione a stampa dell'originale greco (F. Robortello, 1554), che diede il via alla fortuna de "Il Sublime" e al suo impatto sulle teorie estetiche dell'età moderna. Proprio l'importanza vieppiù riconosciuta a questo antico trattato dalle moderne teorizzazioni sul sublime rendeva necessarie una traduzione e una esegesi...
"È in Italia, nel Quattrocento, che risiede principalmente l'interesse della Rinascenza - in quel solenne Quattrocento, che non si studierà mai abbastanza non solo pei suoi resultati positivi nel campo dell'intelletto e della fantasia, le sue concrete opere d'arte, le sue tipiche figure eminenti, col loro profondo fascino estetico, ma pel suo spirito e pel suo carattere in genere, per le qualità etiche di cui esso offre un modello perfetto. Le varie forme d'attività intellettuale che insieme costituiscono la cultura di un'età, muovono per la maggior parte da punti di partenza differenti, e seguono cammini distinti. Come prodotti d'una medesima generazione esse invero partecipano d'un carattere comune, e inconsciamente s'illustrano a vicenda; ma quanto agli artefici stessi, ogni lor gruppo è solitario, e consegue quei vantaggi o subisce quegli svantaggi che possono esserci nell'isolamento intellettuale. Il Quattrocento in Italia è una di queste epoche felici, e quel che talora si dice dell'età di Pericle è vero per quella di Lorenzo il Magnifico: è un'epoca fertile di personalità, multilaterale, accentrata, completa. Qui artisti e filosofi e coloro che l'azione del mondo ha elevato e reso acuti, non vivono nell'isolamento, ma respirano un'aria comune, e ricevono luce e calore gli uni dai pensieri degli altri. L'unità di questo spirito conferisce unità a tutti i vari prodotti della Rinascenza".
"Gli scritti critici di Robert Schumann costituiscono una testimonianza della vita musicale romantica d'insostituibile valore. In essi è la rivelazione di Chopin, presentita con indescrivibile acume sin da un'opera della più acerba giovinezza; di Berlioz, imposto all'attenzione del pubblico europeo con una memorabile analisi della Sinfonia fantastica; di Brahms, annunciato solennemente come l'iniziatore di nuove vie in un ultimo scritto che è al tempo stesso una sorta di testamento spirituale e la consacrazione di una novella forza creatrice. [...] Come sempre avviene quando si tratta di uno scrittore ben vivo e originale, la critica schumanniana ha un timbro inconfondibile e tanto più raro in quanto dal musicista si è soliti attendere disquisizioni tecniche aride e secche, mentre in essa il tono poetico supera di gran lunga quello minuziosamente esegetico, delizia del mediocre e del pedante. [...] L'acutezza del giudizio si accompagna non soltanto alla raffinatezza del gusto, ma a un'assoluta probità morale che è veramente da pregiare quando si mostra così costante in tutte le manifestazioni di una lunga, quotidiana attività inevitabilmente esposta, per sua natura, a tentazioni non buone." (Dallo scritto di Luigi Ronga)