Bestia raccoglie i versi di esordio di Irene Solà, giovane narratrice, artista e poeta catalana. Sono poesie brevi e taglienti, le sue, senza preamboli o il bisogno di mostrarsi implicite. C'è una prima sezione, Bocca ingrata e vermiglia, caratterizzata da un linguaggio viscerale - il «groviglio di pelo nello stomaco», i «seni di burro», il ventre squarciato con un coltello - che esplora il rapporto altalenante col corpo e con la femminilità. È tra questi versi che emerge il richiamo alla figura mascolina e controversa del padre ed è qui che la poesia di Solà sembra affondare le radici in un terreno poetico comune anche a Plath e Sexton. Nella seconda parte della raccolta, invece, il tono sembra cambiare almeno parzialmente. Si fa prima memoriale, scava nel passato e nell'infanzia, parla la lingua della nostalgia e dei bambini che giocano disegnando a terra coi gessi colorati. Ci sono i ricordi «pericolosi / come ossi di pollo» e una nuova figura maschile diversa da quella paterna a cui sembra possibile accordare fiducia. C'è un numero imprecisato di animali che entra in scena per poi sparire dietro le quinte: il serpente, la zanzara, la iena, il tacchino, la balena. E ogni poesia segue geografie che sono scelte dall'autrice secondo un senso di appartenenza ai luoghi: c'è, sì, la Catalogna di Camprodon e Vic ma ci sono anche le immagini vivide del diario poetico scritto in Sardegna. È proprio l'uso del verso a rendere la narrazione incisiva e evocativa.