Nata dal progressismo di sinistra e dall'intento di costruire una 'democrazia sostanziale', la tecnocrazia è uno dei grandi progetti politici e sociali del nostro tempo e uno dei meccanismi fondamentali sul quale si basa il funzionamento del mondo globale. Definita spesso come 'governo degli esperti' o 'governo dei tecnici', da fatto politico la tecnocrazia diventa oggi, sempre più, fatto sociale. Un 'governo della tecnica' che, fuoriuscito dai ristretti confini dello Stato, invade le nostre vite attraverso le tecnologie digitali, l'intelligenza artificiale e l'onnipresenza degli algoritmi. Nessun regime politico e sociale della modernità ha mai potuto fare a meno di questa grande forza, nonostante la sfiducia crescente dell'opinione pubblica nelle capacità degli esperti di contribuire a risolvere i problemi e delle scienze sociali (prima fra tutte l'economia) di offrire soluzioni orientate verso l'interesse generale.È davvero pensabile una società democratica che faccia a meno del contributo degli esperti? Il progressismo, che ha inventato la tecnocrazia, può riprendere slancio ripensando il rapporto tra competenza, sovranità popolare e società? È a partire da queste e da altre domande sviluppate nel libro che è forse possibile ridare slancio alle nostre democrazie ferite.
I rapporti di Heidegger con il nazionalsocialismo non sono riconducibili al temporaneo disorientamento di un uomo la cui opera filosofica continuerebbe a meritare ammirazione e rispetto -come molti ancora sostengono. Emmanuel Faye, senza mai separare riflessione filosofica e indagine storica, propone una lettura degli scritti di Heidegger che rivela quanto egli si sia impegnato per introdurre i fondamenti del nazismo nella filosofia e nell'insegnamento. Nel suo seminario hitleriano dell'inverno 1933-34, Heidegger identifica il popolo con la comunità di razza e sostiene che sia necessaria per il III Reich una nuova nobiltà, esaltando l'"eros" del popolo per il Führer. Successivamente, dopo il 1935, il suo nazismo invece di affievolirsi si radicalizza: nel giugno 1940 presenta la motorizzazione della Wehrmacht come "atto metafisico"; nel 1941 definisce la selezione razziale come "metafisicamente necessaria"; infine, dopo la disfatta del nazismo, le sue prese di posizione sul nazionalsocialismo e i campi di sterminio andranno a nutrire i discorsi dei movimenti revisionisti e negazionisti. Con questa opera, già pubblicata in molti paesi e finalmente anche in Italia, Faye rende evidente il fatto che Heidegger, partecipando all'elaborazione della dottrina hitleriana e ponendosi egli stesso come "guida spirituale" del nazismo, invece che arricchire la filosofia ha distrutto, attraverso essa, ogni forma di pensiero e di umanità.
La dimensione culturale all'origine dell'attuale crisi economica è il tema centrale del libro. La tesi è che, in Occidente, lo sviluppo è stato segnato da una sproporzione tra crescita materiale e qualità della vita sul piano dei rapporti umani e della socialità. La crisi è considerata la conseguenza di una concezione alienata dell'esistenza e del lavoro, dove il benessere economico è perseguito come compenso per la rinuncia a una completa realizzazione di identità. Questa concezione alienata, inoltre, porta a considerare il mercato e il suo dominio sulla società come se fossero generati da leggi eterne, divine, e non da comportamenti e istituzioni volute dagli uomini. Dopo aver analizzato come Marx abbia tentato, senza riuscirvi, di svelare il 'feticismo delle merci' per uno sviluppo umano in grado di superare l'alienazione religiosa, il libro esamina il processo di formazione della teoria economica neoclassica evidenziandone, oltre al contenuto antropologico e alle carenze interne, il contributo al processo di deregolamentazione dei mercati che ha condotto alla crisi. Infine, con riferimento al dibattito che si è svolto in Italia sui temi della crescita economica tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta e ad alcuni suoi successivi sviluppi, l'autore affronta la questione della distinzione tra bisogni ed esigenze, mostrando su quali basi è possibile costruire una proposta culturale in grado di superare la centralità della dimensione economica
Intorno al 1596 sia Caravaggio sia Giordano Bruno respirano l'aria di Roma: l'uno è sulla strada per intraprendere una brillante carriera artistica, l'altro è prigioniero dell'Inquisizione pontificia già dal 1593. Se è poco probabile che Caravaggio si dedicasse a letture filosofiche, è sicuro che Bruno, nella sua cella delle carceri del Sant'Uffizio, non vide mai un quadro di mano del Caravaggio. Eppure, a dispetto di esistenze cosi separate, l'autrice ben ci racconta come i due uomini furono accomunati da un approccio al reale in contrasto col principio d'autorità vigente nella cultura coeva e incentrato sull'esperienza personale e diretta del mondo, trasformato in un universo di immagini, che adombrano verità più profonde. Per il filosofo, il pensiero umano è come un pittore. Per l'artista, le immagini sono un modo di pensare. Prefazione di Claudio Strinati e Michele Ciliberto.