Questa storia inizia con un bambino di sette anni che punta lo sguardo fuori dalla finestra. Mattia spera che Spider-Man compaia da un momento all'altro, saltando trai palazzi e penzolando da una delle sue leggendarie ragnatele. Del resto, quando sei costretto a passare molti giorni in un letto d'ospedale, devi pur trovare un modo per ingannare la noia. Ci vuole fantasia, e quel piccoletto ne ha tanta, insieme a un gran coraggio. Vent'anni e molte operazioni dopo, Mattia è diventato un ragazzone alto e sorridente. La sua salute continua a fare i capricci - le gambe, in particolare, non gli hanno permesso di fare il portiere in una squadra di calcio né di seguire la carriera militare del padre - ma niente gli impedisce di guardare con fiducia al futuro. Un lavoro, una bella famiglia, degli amici: ha tutto ciò che basta a essere felice, eppure sente che da qualche parte dentro di sé un vuoto chiede di essere colmato. E così, un giorno, come un lampo improvviso arriva l'idea: Mattia indossa un costume da Spider-Man e torna in ospedale, stavolta per regalare ai bambini ricoverati il piccolo sogno che lui non ha potuto vivere quando era al posto loro. Con delicatezza e una sincerità disarmante, Mattia Villardita ci racconta non solo come si può cambiare pelle per aiutare gli altri, ma indaga la responsabilità e la sofferenza che indossare una maschera comporta. Perché la vita non è un fumetto, non ci sono supereroi: c'è solo l'amore che a volte le persone sono in grado di regalarsi.
Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno. Per riconciliarsi con il mondo, dopo una storia d'amore finita, Adelaide torna nel paese in cui è nata, un pugno di case in pietra tra le montagne aspre della Val Germanasca: una terra resistente dove si parla una lingua antica e poetica. È lì per rifugiarsi nel respiro lungo della sua infanzia, negli odori familiari di bosco e legna che arde, dipanare le matasse dei giorni e ricucirsi alla sua terra: 'fare la muta al cuore', come scrive nelle lettere al figlio. Ad aspettarla - insieme a una bufera di neve - c'è Nanà, ultima custode di casa, novant'anni portati con tenacia. Levì, l'altro anziano che ancora vive lassù, è stato ricoverato in clinica dopo una brutta caduta. Isolate dal mondo per quattordici giorni, nel solo spazio di quel piccolo orizzonte, le due donne si prendono cura l'una dell'altra. Mentre Adelaide si adopera per essere utile a Nanà e riportare a casa Levì, l'anziana si confida senza riserva, permettendole di entrare nelle case vuote da tempo, e consegnandole la chiave di una stanza intima e segreta che trabocca di scatole, libri ricuciti, contenitori e valigie, in cui la donna ha stipato i ricordi di molte vite, tra uomini, fiori, alberi e animali, acqua e tempo. Una biblioteca di esistenze, di linguaggi, gesti e voci, dove ogni personaggio è sentimento, un modo di amare. Fotografie, lettere, oggetti che sanno raccontare e cantare il tempo: di guerra e povertà, amori coltivati in silenzio, regole e speranza, fatica e fantasia. Un testamento corale che illumina le ombre e le rimette in equilibrio. La bellezza intensa che respira oltre la vita e rimane in attesa di parole. Tuffarsi nella memoria significa avere il coraggio di inventare un altro finale e vivere oltre il tempo che ci è stato concesso, per ritrovare il luogo intimo di ognuno. La casa.