Esistono, nella storia dell'arte del Novecento, figure mitiche, momenti mitici, luoghi mitici. Una di queste figure è Amedeo Modigliani, che visse la fase più feconda, e più autodistruttiva, della sua opera in una città mitica, Parigi, nel suo quartiere più mitico, Montparnasse, in un periodo, il primo decennio del secolo scorso, reso mitico da tutti i grandi artisti come lui - da Picasso ad Apollinaire, da Henry Miller a Man Ray - che rivoluzionarono non solo l'arte moderna, ma anche il modo di concepire l'uomo e il mondo. Tutto questo viene qui narrato in fotografie straordinarie, ripercorrendo la parabola artistica ed esistenziale di Amedeo Modigliani, dagli esordi nella nativa Livorno al balzo fatale verso Parigi, verso Montparnasse, in quel luogo e in quel tempo che lui e i suoi "amici", giunti da tutto il mondo, renderanno il cuore pulsante dell'arte. E lì Modigliani, in quel magico ambiente, in quel miracoloso consorzio, creerà febbrilmente la sua opera e febbrilmente si consumerà, nello spazio di pochi anni, dal 1909 al 1920, quando lo fermerà la morte, all'età di trentasei anni.
Fu in Germania che, nel Quattrocento, l'invenzione della stampa, dell'incisione e della xilografia fornì al singolo la possibilità di diffondere le proprie idee in tutto il mondo. Proprio mediante le arti grafiche la Germania assurse al ruolo di grande potenza nel campo artistico, grazie principalmente all'attività di un artista che, benché famoso come pittore, divenne una figura internazionale solo per le sue doti di incisore e xilografo: Abrecht Dürer. Le sue stampe per più di un secolo costituirono il canone della perfezione grafica e servirono da modelli per infinite altre stampe, come pure per dipinti, sculture, smalti, arazzi, placche e porcellane, non solo in Germania, ma anche in Italia, in Francia, nei Paesi Bassi, in Russia, in Spagna e, indirettamente, persino in Persia. L'immagine di Dürer, come quella di quasi tutti i grandi, è cambiata secondo l'epoca e la mentalità in cui si è riflessa, ma sebbene le qualità distintive della sua innegabile grandezza furono variamente definite, questa grandezza fu riconosciuta subito e mai messa in dubbio. Con un testo di Erwin Panofsky.
Una raccolta di foto che ritrae Salvador Dalì in vari momenti della sua vita. Con testimonianze di Brassai, André Breton, Luis Bunel, Federico Garcia Lorca.
"La mia pittura non nasce sul cavalletto. Non tendo praticamente mai la tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla non tesa sul muro o per terra. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Mi sento più a mio agio se la tela è stesa sul pavimento. Mi sento più vicino, più parte del quadro: posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, essere letteralmente nel quadro. E un metodo simile a quello degli indiani del West che lavorano sulla sabbia. Mi allontano sempre più dagli strumenti tradizionali del pittore come il cavalletto, la tavolozza, i pennelli... Preferisco la stecca, la spatola, il coltello e la pittura fluida che faccio sgocciolare, o un impasto grasso di sabbia, di vetro polverizzato e di altri materiali non pittorici. Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio. Solo dopo, in una sorta di "presa di coscienza", vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di modificare, di distruggere l'immagine, perché un quadro ha una vita propria. Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato è caotico. Solo se c'è un'armonia totale, un rapporto naturale di dare e avere, il quadro riesce". Con fotografie e introduzione di Hans Namuth.