Il volume raccoglie due opere, Pensiero e poesia nella vita spagnola e Filosofia e poesia, composte da María Zambrano durante l'esilio, nel 1939. Per far fronte alla sconfitta dei repubblicani nella guerra civile spagnola e al trionfo del razionalismo nella filosofia moderna e contemporanea, l'autrice muove alla ricerca dell'essenza della Spagna, della sua tradizione viva e di un diverso tipo di ragione, più vicina alla poesia e all'esperienza religiosa. Comincia qui a prender forma la teoria della "ragione poetica" come nuovo metodo di conoscenza: nell'attitudine del poeta, il filosofo riscopre il contatto diretto con la realtà e una forma di pensiero che non pretende di dominare il mondo, ma sa lasciarsi possedere dalla sua varietà. Poesia e filosofia, che hanno un'origine comune nella meraviglia, sono complementari: non c'è poesia senza pensiero né ragione senza poesia e solo la loro unione può indicare il cammino verso la verità.
Il volume raccoglie gli scritti sull'esilio - e dall'esilio - di María Zambrano, qui per la prima volta tradotti in italiano, in gran parte tratti da un'opera progettata e rimasta incompiuta. L'esilio segna nel suo percorso una svolta esistenziale e intellettuale. Nella lontananza dalla patria, ai margini delle categorie logiche dominanti, la filosofa scopre un'occasione per guardare alla verità nella sua purezza essenziale. Elevato a metafora della condizione originaria del genere umano, l'esilio si erge a cifra metafisica che permette una migliore comprensione dell'uomo, non più soltanto come cogito, come soggetto cartesiano, ma come essere che patisce. Alla luce di questa nuova teoria della conoscenza, l'esilio diventa, da esperienza di sradicamento, abbandono ed esser nulla, luogo metafisico della rivelazione, vera patria dove l'essere può rinascere.
«L'opera che ci viene restituita è un'opera aurorale di Zambrano, che si affaccia alla vita. E anche se ci appare, per taluni aspetti, ingenua, fors'anche naive, essa di fatto anticipa temi cruciali di Zambrano matura. Per Zambrano è sempre importante mettersi a nudo senza remore. E in questo testo, appartenente alla fase giovanile, lo fa con particolare trasparenza. Il rilievo di questo epistolario è la confessione di un trauma. La perdita di un figlio appena nato. María Zambrano e Hannah Arendt, le due grandi filosofe della nascita, che hanno imposto tale tematica alla riflessione filosofica nel Novecento, lo fecero pur senza essere madri. Ora sappiamo che, per María Zambrano, non fu così. E la sua maternità fu un'esperienza davvero drammatica. E, in tal modo, si spiegano molte cose. Soprattutto la lettura dialettica, che Zambrano propone tra disperazione e speranza in rapporto alla nascita. In tal modo certe pagine trovano una nuova luce e una nuova possibilità di comprensione. Sappiamo (e ora grazie a questo testo ne intuiamo meglio le ragioni) che - per Zambrano - la nascita, la "prima nascita", che apre alla vita e alle successive nuove nascite o rinascite, rappresenta un evento segnato da una cifra di drammaticità. Essa è infatti crudele nudità, abbandono del calore placentare, esposizione totale e radicale». Dalla Prefazione di Silvano Zucal.
«L’uomo e il divino non solo rappresenta una sintesi di tutto ciò che María Zambrano aveva scritto fino agli anni Cinquanta, ma costituisce il nucleo da cui si irradia tutto il suo pensiero alla ricerca dell’unità tra religione, filosofia e poesia. Rispetto all’itinerario esistenziale e intellettuale di Zambrano, questo libro si riferisce alla “seconda navigazione” contrassegnata dalla ragione poetica, Che costituisce il nucleo originale della riflessione della pensatrice. Se compito della poesia è aprire i pori al sacro, “l’azione che l’uomo compie è cercare un luogo in cui accoglierlo e dargli forma, nome; collocarlo in una dimora per ottenere lui stesso la sua; la dimora umana, il suo ‘spazio vitale’”. La ragione poetica porta alla luce non una Istoría – nel senso greco del termine –, un computo di sventure o avvenimenti computabili cronologicamente, bensì una “intrastoria”. Se potrebbe sembrare che in quest’opera Zambrano narri una storia cronologicamente intesa – dalla nascita pre-greca degli dèi, alla disputa tra filosofia e poesia intorno ad essi, ad Aristotele e alla sua condanna dei pitagorici, al cristianesimo, alla nietzschiana morte di Dio e alla riapparizione del sacro all’interno del nichilismo –, basta uno sguardo ermeneutico per constatare l’insufficienza di una tale cronologia, perché quanto viene descritto sta accadendo nello stesso tempo, sicché il movimento e lo spazio del movimento coincidono. Zambrano sta disegnando in realtà la topografia dell’Occidente, seguendo le orme dell’unità originaria perduta.»
Dalla Prefazione di Armando Savignano
María Zambrano (1904-1991) è una delle maggiori protagoniste della storia della filosofia del ’900. L’Editrice Morcelliana, che dell’autrice ha pubblicato Donne (2006) a cura di S. Zucal e L’esilio come patria (2016) a cura di A. Savignano, e vi ha dedicato un fascicolo monografico di «Humanitas» 1-2 (2013) María Zambrano. La politica come «destino comune», ha in corso di pubblicazione le Opere.