Il presente studio intende approfondire le coerenze per le quali, nella proposta filosofica personalistica di Luigi Stefanini, l'affermazione dell'irriducibilità della persona e la tematizzazione di una identità forte siano inseparabili dall'apertura e dalla relazionalità, ovvero tenta di mettere in risalto le ragioni per le quali è possibile affermare che «La monade spirituale è tutta porte e tutta finestre». Mentre i primi due capitoli, più ricostruttivi, si concentrano sulla definizione del personalismo e sulle peculiarità del concetto di persona, negli altri due l'accento è posto sulle aperture che tale concetto implica, a partire dalla formulazione di una estetica come scienza della parola assoluta e dall'elaborazione di un personalismo morale come presupposto per intendere e affermare la necessità della socialità.
Agli "ideali ascetici" Friedrich Nietzsche ha notoriamente dedicato una durissima requisitoria nella terza dissertazione della sua Genealogia della morale. Eppure, ad un'analisi più dettagliata, non è possibile ritrovare, in questo testo, neanche una singola occorrenza della parola "ascesi". È davvero possibile che il filosofo (e filologo classico) di Röcken abbia omesso casualmente una parola come askesis, tanto centrale per il pensiero filosofico greco, dal suo scritto polemico? Oppure il concetto di ascesi va interpretato in maniera differente rispetto a quello di "ideale ascetico", andando così a creare una costellazione teorica più complessa rispetto a quella che sembra configurarsi in un primo momento? Il presente lavoro si ripropone di effettuare una ricostruzione e discussione critica delle molte declinazioni dell'ascetismo presenti nel pensiero di Friedrich Nietzsche, tanto nelle opere a stampa quanto nei frammenti postumi: dall'ascesi greca di Pitagora e Orfeo, passando per quella (talvolta valorizzata, talvolta criticata) di Schopenhauer, fino ad arrivare alla decostruzione dell'ideale ascetico nella Genealogia della morale verranno prese in considerazione quelle che andranno a configurarsi come le molte ascesi di Nietzsche.
Con la sua esigenza di un ritorno alle "cose stesse", la fenomenologia husserliana si è sempre proposta di esibirne la costituzione, ovvero la fondazione. In questo modo ha preso coscienza di sé come nuova "filosofia prima" recante il principio di legittimazione assoluta della conoscenza fenomenologica. Cosa legittima quest'ultima tanto rispetto ai dati attestati da un procedimento puramente descrittivo quanto alla loro origine negli atti della soggettività trascendentale? Questo libro intende ripensare tale questione alla sua radice: è con l'obiettivo di realizzare il progetto di legittimazione assoluta della costituzione del senso dei fenomeni che Husserl procede - oltrepassando i limiti di una fenomenologia descrittiva - a delle costruzioni fenomenologiche che non sono costruzioni speculative, ma "sistemi di coordinate" che il fenomenologo deve introdurre per rendere conto di questo o quel contenuto fenomenologico. I fondamenti di una fenomenologia costruttiva avranno dunque come scopo di chiarire lo statuto di ciò che si presenta al fenomenologo nelle sue analisi concrete - il che implica un approccio in cui sovente, per la natura stessa della "cosa", "ci mancheranno i nomi".
Come è stato possibile l'Olocausto? Come "spiegare" razionalmente ciò che sembra eccedere ogni misura razionale? Si situa in questo contesto problematico l'incontro di Hannah Arendt con Franz Kafka. Storicamente documentato da una conferenza tenuta nel 1944 a Mount Holykoke, a pochi mesi dalla fine della seconda guerra mondiale, e dalla scoperta della tragedia del genocidio, il rapporto con lo scrittore praghese si rivela essere cruciale nel progetto teorico perseguito da Arendt. Secondo la filosofa, Kafka ha compreso fino in fondo - ed espresso mediante parabole - un assunto che ella aveva condiviso, attraverso un'adesione non solo intellettuale, ma anche psicologica ed emotiva. Aveva individuato nell'uomo, nell'enigma dell'uomo, nell'imperscrutabilità della sua essenza più profonda, negli abissi di quello che è destinato comunque a restare un mistero, l'origine del male, in tutte le sue manifestazioni individuali e sociali. Kafka è "pensatore politico" - come Arendt lo definisce - proprio perché è la guida più affidabile per esplorare gli intrecci che connettono etica e politica, e che ritrovano nell'individuo la radice delle forme politiche.