Secondo quanto documentato nelle varie agiografie su santa Rosalia, pubblicate nella quasi totalità dopo il dichiarato ritrovamento delle sue ossa nell'anno 1624 sul Monte Pellegrino di Palermo, l'immagine della Santa eremita è di una nobile giovane la cui discendenza si fa risalire all'imperatore romano Carlo Magno da parte di padre, e ai regnanti Normanni da parte di madre. Racconti di fede, ma anche narrazioni intrise di fantasia popolare, visioni mistiche, ricostruzioni fantastiche. Ricostruzione della vita e delle gesta, delle leggende su Rosalia Sinibaldi, scritta in un poema di quartine poetiche in italiano, in un cantastorie in siciliano secondo le antiche regole popolari dei "cuntastorie" e dei cantastorie, e il famoso "Triunfu" che eseguivano per il Festino i componenti della Congregazioni degli Orbi, oggi scomparsa. Racconto poetico in italiano, racconto popolare in siciliano con canti anche nella versione italiana, e il lungo "Triunfu", anch'esso in siciliano. Con le illustrazioni di Tiziana Crivello, creatrice, inoltre, del cartellone di scena che accompagna le rappresentazioni teatrali sulla Santuzza che Sara Favarò porta in giro nelle piazze e nei teatri.
Nella sua prima indagine l'avvocato Guerrieri è un uomo che sta facendo i conti con la propria vita. La moglie lo ha lasciato, il lavoro non lo soddisfa, scarica ansia e panico tirando di boxe. Riluttante e malinconico si muove in una Bari mutevole, assolata e notturna, indifferente e criminale, raffinata e underground. Ha un debole per le cause disperate, in cui si tuffa per amore di verità e incoraggiato da quel piglio ironico cha mai lo abbandona. Abdou Thiam, ambulante senegalese, è accusato dell'omicidio di un bambino. Un delitto atroce, inspiegabile, al quale lo inchiodano prove schiaccianti che consiglierebbero di accettare il rito abbreviato chiedendo una riduzione della pena. Ma nel suo destino c'è un avvocato in crisi che ha deciso di lottare per salvare Abdou, e ridare così un nuovo corso alla sua vita. Gianrico Carofiglio compone il suo intreccio in un'aula di tribunale, tra avvocati, giudici, colpi di scena, arringhe, prove e controprove. Ne nasce quello che è considerato il primo esempio di romanzo giudiziario italiano in cui domina costante la tensione e il dubbio. Ma soprattutto il sentimento di una giustizia che trionfa.
Una giovane studentessa viene assassinata nella foresta di Bainem, alle porte di Algeri. E "nuda dalla testa ai piedi. E bella come solo una fata fuggita dalla tela di un artista [...]. Mirabilmente truccata, con i capelli costellati di pagliuzze luccicanti, si direbbe che la tragedia l'abbia colta di sorpresa nel bel mezzo di un banchetto nuziale". Intorno a lei il mondo, la città, si risveglia. Invece, "la Bella Addormentata ha chiuso con le favole. Ha smesso di credere al principe azzurro. Nessun bacio potrà resuscitarla". A dirigere l'inchiesta è chiamata Nora Bilal, una donna onesta e combattiva, che ha scelto di ignorare il pericolo che si corre in una società governata da squali e predatori, assetati di potere. Nora si trova ad affrontare uno degli "intoccabili" che controllano l'Algeria di oggi in ogni settore, figure di potere che mai vengono menzionate ma che tutti conoscono. Inizia così un viaggio nel lato oscuro di un paese stremato dalla corruzione, afflitto dall'ingordigia della classe dirigente e dei suoi complici. Un paese in cui, afferma un personaggio, "i nostri giovani non sanno cosa sia un turista o un cinema, i nostri vecchi dimenticano quello che sono stati, la nostra patria è sequestrata e le nostre speranze messe alla berlina. Una scimmia in gabbia ha più dignità di noi in spiaggia". E proprio riflettendo su questa umiliazione, Khadra reinventa ancora una volta la narrazione di genere, unendo le caratteristiche del romanzo noir a una denuncia e a una chiamata alle armi.
Giulio, detto Maigret perché delle inchieste del commissario è un accanito collezionista, vive nella tenuta dei San Vittore. Il padre è il fattore della proprietà, la madre è un'esperta cuoca. Di fronte a ogni evento, Giulio-Maigret si domanda come si comporterebbe il commissario, ma senza perdere mai il senso di realtà. Un giorno, vuoi per l'incertezza dell'alba invernale, vuoi perché la noia del paesino è divorante, il piccolo Maigret non riesce più a sottrarsi alla sensazione di un vero mistero. Un uomo ha buttato qualcosa di ingombrante nel canale, proprio in prossimità della chiusa; e quell'uomo è salito trafelato e guardingo sullo stesso pullman che sta portando il piccolo Maigret a scuola. Giulio-Maigret dimenticherebbe, ma da quel momento i fatti, le coincidenze lo incalzano: insomma, proprio come accade al vero Maigret, nella banale atmosfera quotidiana si accende l'intuito. Un Francesco Recami sempre ironico ma meno caustico mescola realtà e letteratura e firma un giallo in grado di appassionare lettori giovani e amanti del genere di tutte le età.
"Arco di luminara" e "L'ultima provincia" sono per Luisa Adorno «i libri degli anni felici coi figli bambini, poi ragazzi, i suoceri, le antiche, familiari domestiche, quelli in cui scopro la Sicilia e la sicilianità di cui comincio col ridere e finisco con l'amare, riamata». Il protagonista è ancora una volta il suocero, il prefetto Vincenzo Adorno, uomo d'altri tempi che ormai in pensione si è trasferito con la moglie - la Prefettessa - e la fedele Concetta nella casa del figlio a Roma. La convivenza delle due famiglie, l'incontro-scontro tra i vecchi e i giovani, viene raccontato con vivacità e ironia in quella limpida lingua pisana, veloce e precisa, che fa della Adorno una scrittrice inimitabile. Un affresco di serena borghesia del dopoguerra, un lessico familiare che si compone di quadri e memorie collettive; e poi le estati alle pendici dell'Etna, il luogo dell'anima del prefetto, un fazzoletto di terra con la vigna e la casetta in pietra lavica, i riti familiari, le luminarie. Ma sono anche gli anni della vecchiaia e della nostalgia, il tramonto di un'epoca e l'ombra della morte che inevitabilmente si allunga.
A metà degli anni Settanta, Leonardo Sciascia pubblicò un saggio sulle donne siciliane che gli procurò molte polemiche. Appassionato al gioco pirandelliano della realtà e dell'apparenza, Sciascia invece scriveva che le donne siciliane erano, insieme, comandiere e subalterne, piegate, cioè, da una secolare sottomissione, eppure forti e padrone in casa. Questo libro di Giacomo Pilati è l'ideale prosecuzione del saggio di Sciascia. Non è una valutazione esagerata, anche se quello era un saggio dal sapore fortemente pamphlettistico e questa è una raccolta di storie narrate dalle stesse protagoniste. Ci sono tre elementi che accomunano le donne così diverse che Pilati ha voluto incontrare: il dolore, la consapevolezza e il coraggio. Giacomo ha colto, e ha saputo descrivere, la fondamentale differenza tra uomini e donne siciliani. Gli uomini credono che tutto sia destino. Le donne pensano che il destino si può cambiare.
L'antologia contiene centinaia di rosari, frutto di trentennale ricerca sul campo dell'autrice. Rosari in gran parte ignoti alla fede ufficiale di Santa Romana Chiesa e nei quali il rapporto del fedele con la SS. Trinità, Gesù, la Madonna e i Santi è, quasi sempre, frutto di una relazione alla pari e, in ogni caso, di tipo familiare. Ci sono anche tanti rosari in siciliano che non sono popolari alla fonte, ma nell'acquisizione e nella divulgazione. Rosari che sono frutto di elaborazione strategica da parte del clero, che si serviva di metrica e linguaggio del popolo per catechizzare.
In un saggio, Andrea Camilleri individua una delle cause della corruzione in Sicilia nella Bolla di componenda, «un incredibile tariffario, emesso ufficialmente dal clero con le percentuali da pagare alla Chiesa per i reati commessi». Ma è questa la verità? Perché l'accusa nasce all'indomani dell'unificazione italiana da parte di una borghesia, che vuole celebrare la sua conquistata egemonia? Don Francesco Michele Stabile, sulla base di documenti e di argomentazioni logiche, ritiene che questa volta la fantasia del romanziere abbia fuorviato la penna dello storico e lo abbia indotto, suo malgrado, a una prestazione da "cattivo maestro".