Costruito in uno spazio temporale ristretto, i tre giorni del Natale del 1949, e in un luogo chiuso, la saraska di Marfino, una prigione alle porte di Mosca dove scienziati di ogni tipo sono detenuti per crimini politici, il romanzo "Nel primo cerchio" - che arriva finalmente al lettore nella sua versione integrale, a mezzo secolo di distanza dalla prima traduzione italiana - potrebbe apparire claustrofobico. Ma le vite e i ricordi dei prigionieri allargano l'orizzonte da quelle stanze a tutta la città e all'immenso paese, regalandoci uno degli affreschi più appassionanti della letteratura, un'indimenticabile composizione di caratteri, luci, colori. La vita di una nazione. Paragonato da Heinrich Böll a una cattedrale, il romanzo della cattedrale ha la struttura e, come dice Anna Zafesova, "possiede il respiro della navata - il panorama multidimensionale della Russia staliniana, dalle campagne desolate ai salotti della borghesia rossa, e dalle segrete del gulag ai teatri moscoviti - e la vertiginosa guglia dei capitoli su Stalin, ma anche la moltitudine di angoli reconditi, cappelle, affreschi, statue che emergono dall'oscurità...
Un ragazzo è affetto da una strana sindrome: soffre di empatia, è capace di immedesimarsi nelle storie degli altri. Inizia così un viaggio nel mondo del possibile, nel labirinto dei sentimenti mai provati, delle cose mai accadute eppure reali più del reale stesso. Questo "io" coraggioso e impertinente va e viene dal passato, fa incursione in un futuro di cui abbiamo già nostalgia, e ritorna con un inventario di storie sull'autunno del mondo, sui Minotauri rinchiusi in ognuno di noi, sulle particelle elementari del rimpianto, sul sublime che può essere ovunque.