L'icona di Giuseppe, padre affidatario di Gesù, si presta ad accompagnare ognuno di noi in questo cammino, che vede uomini e donne a cavallo di due millenni, come Giuseppe. Giuseppe che trasforma una nobiltà di stirpe in nobiltà di spirito. Che feconda il proprio essere giusto con l'apertura all'amore. Che tace perché ascolta la Parola incarnata in un fragile bambino. Che si innamora ed è traumatizzato dalle sue umane aspettative, che è turbato e preso dal dubbio, che domanda, che dorme, sogna, ascolta e interpreta. Che prende con sé. Che contempla e medita. Che ama senza possedere. Che obbedisce, si alza, parte e va in terra straniera. Che ritorna e trova la giusta dimora. Che lavora, istruisce, attende in una trasfigurata quotidianità. Giuseppe siamo noi, il suo cammino è il nostro cammino, il suo sogno è il nostro sogno.
Che senso ha parlare, oggi, di oratorio? Cosa potrebbe mai insegnare ai ragazzi educati alla condivisione? social? Proprio l'oratorio, ripulito dai segni del tempo, potrebbe rinnovarsi come luogo di incontro autentico, di incrocio di vite, di ascolto vero, un posto in cui al centro c'è il cuore libero di chi impara ad amare. Perché, se anche i tempi sono cambiati, il profondo desiderio di amore, speranza e libertà si incarna continuamente nei ragazzi di ogni tempo e provenienza. E se don Bosco è riuscito a strappare i giovani dalla strada, noi potremmo cercare di non farli affogare nel mare magnum delle relazioni virtuali.