Vede finalmente la luce, a poco più di trent’anni dalla scomparsa di Vladimir Nabokov, il suo ultimo romanzo incompiuto, a lungo oggetto di insaziabile curiosità da parte di lettori e critici. Sentendo avvicinarsi la fine, nel 1977 lo scrittore raccomandò alla moglie di distruggere le 138 schede manoscritte cui era affidata la prima stesura dell’Originale di Laura qualora non fosse riuscito a completarlo. Véra Nabokov, tuttavia, non ebbe cuore di rispettare tale volontà, e alla sua morte, nel 1991, il peso della scelta ricadde sul figlio Dmitri, che per decenni si è dibattuto nel dubbio se ottemperare o meno alla richiesta. Da ultimo, è prevalsa la decisione di rendere pubblico «un capolavoro embrionale i cui bozzoli di genio cominciavano a trasformarsi in crisalide qua e là sulle sue onnipresenti schede» e che ci immette direttamente nello straordinario laboratorio nabokoviano. Oscuro eppure festante, dominato da un giocoso concetto della morte e da una beffarda visione dei riti mondani, L’originale di Laura ruota intorno a un romanzo nel romanzo, ovvero Laura, di cui è ispiratrice la ventiquattrenne Flora, capriccioso e sensuale alter ego di Lolita. Accanto a lei, fra i molti personaggi delineati con rapidi tratti folgoranti, spicca il marito Philip Wild, neurologo e docente di fama sedotto da nuovi esperimenti sulle cellule nervose capaci di indurre una graduale ancorché reversibile estinzione del corpo. Nabokov gioca qui, per l’ultima volta, ad affacciarsi sull’abisso dell’ineluttabile fine, ma come sempre trasforma la morte in un atto revocabile che, giunto l’istante fatale, evapora nelle magie dell’illusionismo. Gioca con la strenua aspirazione a dominare la vita e l’immortalità per poi rivelarci che «morire è divertente». Gioca con un labirinto di specchi dove i confini tra realtà e finzione sono aboliti e ciascuno si ritrova a vagare da solo.
Hermann, un russo di ascendenze tedesche che vive a Berlino, durante un viaggio d'affari a Praga si imbatte in un vagabondo la cui fisionomia gli sembra del tutto identica alla sua. Irrequieto, insoddisfatto dell'insulsa routine, Hermann concepisce un piano criminale: stipulata un'ingente assicurazione sulla vita, induce il barbone a uno scambio di abiti, dopodiché lo uccide. In attesa di incassare l'assicurazione con l'aiuto della moglie, rimane nascosto in un villaggio dei Pirenei, dove tuttavia si rende conto che il suo piano perfetto è miseramente fallito.
Il protagonista di questo romanzo, Cincinnatus C., ha un difetto: è opaco, nel senso che i suoi pensieri e le sue sensazioni non sono trasparenti agli occhi di coloro che lo circondano, perciò produce "un'impressione bizzarra, come di un ostacolo oscuro e solitario in un mondo di anime trasperenti le une alle altre". In quel mondo, che non è un paradiso, come gli altri sarebbero inclini a pensare, ma il suo beffardo capovolgimento, l'opacità non è solo un difetto, ma una grave colpa, forse la più grave: è segno che rivela la "turpitudine gnostica" del singolo. In quel mondo si viene condannati a morte non per ciò che si fa, ma per ciò che si è. Scritto nel 1934 a Berlino un romanzo chiaroveggente che ha per oggetto la società totalitaria.
Il sessantunenne John Shade, professore al Worthsmith College dell'immaginaria cittadina americana di New Wye, sta ultimando un poema in cui i ricordi d'infanzia si mescolano a interrogativi metafisici sull'"osceno, inammissibile abisso" della morte, che incombe ossessivamente sul poeta dopo che la giovane figlia si è uccisa gettandosi in un lago. Tuttavia Shade sigla gli ultimi versi del poema con un'ironica ma serena dichiarazione di fiducia: si vive in qualche luogo anche dopo la fine, e l'armonia dell'arte ne costituisce la tacita promessa. A questo punto nel quieto scenario di New Wye irrompe, inaspettata, proprio la morte: uno sconosciuto spara a Shade in strada, pochi istanti dopo che ha scritto il suo ultimo verso.
E' la storia di un conflitto tra genio e normalità, volontà e predestinazione, esistere quotidiano e leggi del Fato. Ed è anche - lo rivela già il titolo che allude a un'immaginaria mossa inventata dal protagonista - una storia di scacchi. Una lunga partita giocata contro la vita, che si dipana tra la Pietroburgo imperiale e la Berlino degli anni Trenta. Al centro del romanzo il giovane Luzin che, inerme di fronte alla vita, consegue, invece, attraverso il suo genio per gli scacchi un misterioso potere che lo sospinge molto al di là del mondo ordinario.
In questo romanzo Nabokov decise di sfrenare i suoi estri e i suoi capricci più nascosti e più cari, sfidando il lettore a seguirlo. È una storia d'amore e anche una storia erotica ma, soprattutto, una celebrazione del dettaglio. In questo libro l'autore sembra aver voluto mettere tutto, come in una vasta arca, o per lo meno in una sterminata soffitta. Una soffitta costellata di segreti, come il parco di un maniero, cosparsa di nascondigli erotici, in cui il lettore amerà perdersi.
Il testo più importante del periodo russo di Nabokov.
"Dopo trentasei anni rileggo Lolita di Vladimir Nabokov, che ora Adelphi ripresenta... Trentasei anni sono moltissimi per un libro. Ma Lolita ha, come allora, un'abbagliante grandezza. Che respiro. Che forza romanzesca. Che potere verbale. Che scintillante alterigia. Che gioco sovrano. Come accade sempre ai grandi libri, Lolita si è spostato nel mio ricordo. Non mi ero accorto che possedesse una così straordinaria suggestione mitica". (Pietro Citati)