Nel giorno che cambierà la sua vita, il Maestro si sveglia prima dell'alba. Guarda il sole sorgere sulla laguna e ascolta le pulsioni dolorose inviategli dal proprio corpo. Sono "i dolori del braccio che regge lo scudo". È il 25 dicembre, fa già caldo alle sette del mattino e una nuova giostra sanguinaria si prepara. Ma nulla di tutto questo oramai importa. Ora il Maestro ha un motivo per rimanere in vita. 2092, Venezia - ricostruita da una multinazionale di Pechino dopo una terribile onda alluvionale - è la perversa Las Vegas della decadenza europea). In un clima africano, una folla di nuovi ricchi vi accorre per concedersi ogni vizio e, soprattutto, per assistere alle lotte tra gladiatori. Piazza San Marco è, infatti, trasformata in un arena: il Colosseo del terzo millennio. Mentre le Nazioni si dissolvono, il carnevale si avvicina e i padroni cinesi preparano lussi sfrenati e spettacoli crudeli. Gli ultimi veneziani ai quali è stata interdetta la riproduzione, vivono confinati in un ghetto, piegati e derelitti. Nessuno sembra più volersi sottrarre alla violenza e alla lussuria di questo bordello della fine dei tempi. Eppure, perfino in questo parco giochi orwelliano, ci sono due uomini in rivolta che si levano contro l'orgia del potere. "Il Maestro", guida dei nuovi gladiatori, e Spartaco, suo allievo. L'antica via dei ribelli li condurrà alla città delle donne. Un libro non solo ambientato nel futuro, ma rivolto al futuro, a quella speranza di vita che sorge solo nel senso della lotta.
“Correte. Mio padre sta uccidendo mia madre.” La telefonata arriva alla stazione di polizia alle due del mattino. A farla è un bambino biondo con due grandi occhi blu che fissano il vuoto. Ma la mamma gli toglie la cornetta dalle mani: non è vero, non è accaduto niente, suo figlio urla nel sonno, si aggira per la città nel cuore della notte, suo figlio è sonnambulo. È un bambino che, notte dopo notte, sogna la fine del mondo. Trent’anni più tardi, un terribile sospetto scuote una città del Nord Italia: i bambini di una scuola materna accusano gli adulti di azioni orribili. Ben presto, propagato da giornali e televisioni come una pestilenza del nuovo millennio, il contagio della paura si allarga all’intero paese. Tutta l’Italia si sente minacciata dal Male. In molti cominciano a sussurrare il nome del Diavolo. È in atto una cospirazione diabolica o si sta scatenando una caccia alle streghe? Nella stessa città, un professore universitario disilluso, legato a una donna che ama ma dalla quale non vuole figli, viene sollecitato da un grande giornale a condurre un’inchiesta sul caso che spaventa l’Italia. Lui oppone resistenza. Ben presto, però, risucchiato dal gorgo della cronaca nera, dovrà scoprire quanto sia sottile la linea che separa la vittima dal carnefice, l’accusato dall’accusatore. E i terrori notturni di quel bambino che sognava la fine del mondo riemergeranno implacabili, almeno fino all’alba di una speranza. Antonio Scurati, dopo Una storia romantica torna con forza all’oggi, ai temi e alle atmosfere de Il sopravvissuto. Con un romanzo costruito sulla testimonianza diretta dell’autore/personaggio, dà vita a una feroce critica del mondo dei media ma anche al racconto, commosso e partecipe, di una società regredita ai terrori dell’infanzia. E, affrontando a viso aperto la crisi di tutte le nostre istituzioni, l’università, la chiesa, la famiglia, la politica, ingaggia un corpo a corpo con i nostri fantasmi. I fantasmi e le speranze di un’umanità la cui unica grande passione sembra essere oramai la paura.
“Apparteniamo all’umanità più agiata,
nutrita, sana, protetta e longeva
che abbia mai calcato la faccia della terra,
eppure sembriamo la più impaurita,
insicura, delusa, sfiduciata e isterica.
C’è qualcosa che non torna.”
Dal delitto di Cogne a quello di Garlasco, dalla strage di Columbine a quella di Erba, dall’attentato di Nassirya al terrorismo mediatico, i funerali di Giovanni Paolo II e l’elezione di Barack Obama, l’allarme pedofilia e l’emergenza ambientale, il nichilismo sessuale e quello giovanile, e poi gli outlet, i centri benessere, le sale massaggi, le badanti romene e le badanti oscene. Raccontando una serie di clamorosi casi di cronaca e analizzando i nuovi miti d’oggi, Antonio Scurati offre una mappatura del presente – dei suoi vizi, dei suoi limiti, delle sue inconsistenze. Con sguardo lucido e impietoso, con forza etica e polemica, con affilata sensibilità letteraria, Scurati riflette sulla trasformazione della nostra società, caratterizzata da un tempo che si consuma nella frammentazione e nell’istantaneità, senza darci modo di capirlo. E neanche di viverlo. Non a caso, in questa nuova dimensione dell’effimero trionfante – della futilità agghiacciante – pare non ci sia più nessuna voce abbastanza forte e libera da elevarsi al di sopra del frastuono televisivo. Ma non è così. E questo libro lo dimostra.
1848. La rivoluzione infiamma l’Europa. Milano insorge contro la dominazione austriaca. In soli cinque giorni un popolo conquista la libertà, una nazione nasce, un uomo e una donna si amano perdutamente. Per farlo, tradiscono tutti, rimanendo fedeli soltanto a se stessi, alla purezza di un sentimento assoluto. 1885. Il senatore del Regno d’Italia Italo Morosini riceve un manoscritto anonimo. Quelle pagine lo sospingono indietro di quarant’anni, quando un manipolo di giovani male armati sconfisse l’esercito più potente del mondo: l’Impero asburgico. Ma quelle righe raccontano anche la passione d’amore che travolse la bella Aspasia, allora musa della rivolta, ora fedele e remissiva moglie del senatore. In un’Europa insanguinata dal terrorismo anarchico, quando tutte le illusioni sembrano perdute e tutte le passioni spente, il destino bussa alla porta. Intrecciato a un potente quadro del nostro Risorgimento e scritto come un grande romanzo ottocentesco,Una storia romantica parla in realtà di noi, di come, straziati da una dolorosa precarietà sentimentale, siamo condannati a vivere tra le rovine di un mondo che sognò ideali e amori assoluti.
"Correte. Mio padre sta uccidendo mia madre". La telefonata arriva alla stazione di polizia alle due del mattino. A farla è un bambino biondo con due grandi occhi blu che fissano il vuoto. Ma la mamma gli toglie la cornetta dalle mani: non è vero, non è accaduto niente, suo figlio urla nel sonno, si aggira per la città nel cuore della notte, suo figlio è sonnambulo. È un bambino che, notte dopo notte, sogna la fine del mondo. Trenta anni più tardi, un terribile sospetto scuote una città del Nord Italia: i bambini di una scuola materna accusano gli adulti di azioni orribili. Ben presto, propagato da giornali e televisioni come una pestilenza del nuovo millennio, il contagio della paura si allarga all'intero Paese. Tutta l'Italia si sente minacciata dal Male. In molti cominciano a sussurrare il nome del Diavolo. È in atto una cospirazione diabolica o si sta scatenando una caccia alle streghe? Nella stessa città, un professore universitario disilluso, legato a una donna che ama ma dalla quale non vuole figli, viene sollecitato da un grande giornale a condurre un'inchiesta sul caso che spaventa l'Italia. Lui oppone resistenza. Ben presto, però, risucchiato dal gorgo della cronaca nera, dovrà scoprire quanto sia sottile la linea che separa la vittima dal carnefice, l'accusato dall'accusatore. E i terrori notturni di quel bambino che sognava la fine del mondo riemergeranno implacabili, almeno fino all'alba di una speranza.
La civiltà occidentale attribuisce alla guerra il potere di generare le forme della politica, i valori della società, la materia dell'arte, di decidere la storia individuale e collettiva. Lo studio delle narrazioni belliche insegna che quest'idea deriva dal paradigma culturale in cui si coniugano guerra e visione. In conformità all'archetipo eroico, che prescriveva al guerriero di distinguersi entro la mischia in un duello a singolar tenzone, poi eternato dal canto del poeta, l'Occidente per millenni pensa la battaglia come evento fatidico, momento della verità in cui le controversie si decidono irrevocabilmente, gli individui mostrano il proprio valore, le identità dei contendenti si definiscono reciprocamente e, soprattutto, la vicenda umana trova il proprio senso entrando a far parte di un racconto memorabile. A questo modo, la visibilità fornisce alla guerra sia il criterio della sua rappresentazione, sia quello della sua motivazione, conduzione e legittimazione. Finalista al Premio Viareggio nel 2003, il libro si arricchisce di una postfazione in cui Scurati riflette sulla trasvalutazione delle rappresentazioni occidentali della guerra dopo l'11 settembre.
Antonio Scurati affronta il delicato tema della correlazione perduta tra letteratura ed esperienza. Scurati riflette sul dissolvimento, nella società di massa, dell'idea stessa di umanesimo, basata sul "rifiuto ostinato di accettare l'inanità dell'essere umano nel tempo", e quindi, sul "tentativo di stabilire una comunione di vita tra i vivi e i morti". Tutto questo, ossia il valore reale e corposo dell'esperienza, si è perso, grazie all'appiattimento e all'indifferenziazione generalizzata della cultura globale, onnicomprensiva ma appunto per questo priva di richiami di qualunque tipo allo spessore della vita reale, con le sue eterogeneità irrinunciabili. Di fronte a tale situazione, a questo mondo dell'inesperienza in cui siamo tutti immersi, Scurati, memore delle analisi di Walter Benjamin, addita ancora allo scrittore il compito di rifondare le ragioni del romanzo storico, al di là di ogni livello metalinguistico, per essere critici in una realtà che non lo è più, di fatto.
La sanguinosa epopea delle armi da fuoco in un affresco storico sull'eclissi dell'età eroica. La fine del mondo cavalleresco e l'avvento della guerra moderna nel Rinascimento dei Borgia, di Savonarola e degli ultimi grandi capitani di ventura. Una misteriosa confraternita di uomini in armi che si oppone con ogni mezzo al tramonto delle aristocrazie guerriere e alla marcia inarrestabile della storia.