
In una bella mattina d’inverno, mentre il suo autista lo portava, come ogni giorno da , trent'anni, nella ditta di import-export fondata da suo nonno, Norbert Monde ha deciso di scomparire. Anzi no: non c'è stato niente da decidere. «Probabilmente lo aveva sognato spesso, o ci aveva pensato così tanto che adesso aveva l'impressione di compiere gesti già compiuti»: farsi radere i baffi, scambiare il completo dal taglio elegante con un abito di seconda mano, andare alla Gare de Lyon, chiedere un biglietto di terza classe per Marsiglia. Ma perché è accaduto proprio quel giorno? Forse perché era il suo compleanno; o forse perché, alzando gli occhi, ha visto i comignoli rosa stagliarsi contro un cielo di un pallido azzurro in cui fluttuava pigra una minuscola nuvola bianca - e gli è venuta voglia di vedere il mare. Quando finalmente se l'è trovato davanti, il signor Monde ha pianto. E quelle lacrime, che si portavano via «tutta la stanchezza accumulata in quarantotto anni» , erano dolci, «perché ora la battaglia era finita», e lui era finalmente come uno di quei clochard che dormono sotto i ponti di Parigi, e che più di una volta gli era capitato di invidiare. Così è andato a vivere con una tale Julie, che fa l'entraineuse in un locale notturno di Nizza dove hanno dato un lavoro anche a lui. Ed è diventato per tutti Désiré Clouet, il contabile del Monico. Un giorno, però, gli apparirà dinanzi un fantasma della sua vita di prima: allora il signor Monde, che si è portato dietro «la sua condizione di uomo come altri si portano addosso una malattia che ignorano», riprenderà la sua identità e il suo ruolo, ma non sarà più la stessa persona. Perché da quel momento non avrà più ombre - e guarderà ogni cosa in modo diverso, con una sorta di «fredda serenità».
Non ha avuto vita facile Oscar Chabut. Ha lavorato duro e, dal nulla, è riuscito a costruire un impero. E che importa se il suo Vin des Moines, miscela di vini del Midi e d'Algeria, fa storcere il naso agli intenditori? Moderni uffici in avenue de l'Opera, un appartamento in place des Vosges, una villa in campagna a Sully-sur-Loire, una casa a Cannes, amicizie altolocate: non male per il figlio di un oste del quai de la Tournelle bocciato due volte alla maturità. Aggressivo e sprezzante com'è, sempre calato nella parte dell'uomo d'affari insensibile e senza scrupoli, sempre pronto a ostentare la sua ricchezza e il suo potere, Oscar Chabut pare ci provi gusto a farsi odiare. Tanto più che non esita a portarsi a letto, oltre alle sue dipendenti, le mogli di tutti gli amici. Sicché, quando lo freddano con quattro colpi di pistola all'uscita di una lussuosa casa d'appuntamenti di rue Fortuny - dove si appartava ogni mercoledì con la sua segretaria -, nessuno si stupisce più di tanto. Ma come scovare l'assassino di un uomo che in pratica aveva solo nemici? Un vicolo cieco, si direbbe. E non è certo un caso che Maigret conduca questa inchiesta davvero impossibile febbricitante, vittima di un'influenza che sembra appannarne la leggendaria sagacia. Maigret, lo sappiamo, è più vulnerabile di quanto non si creda: e questa volta ha tutta l'aria di uno scolaro che si sente male il giorno dell'interrogazione.
Nel 2003, in occasione del centenario della nascita dello scrittore, la collana più prestigiosa del più prestigioso editore francese apriva le porte all'opera di Georges Simenon: due volumi della «Pléiade» di Gallimard radunavano ventuno romanzi scelti fra i migliori della sua produzione. Al primo dei due, apparso da Adelphi nel 2004, fa ora seguito questo, che accoglie alcuni dei titoli più significativi (e celebri) degli anni che vanno dal 1948 al 1989. La serie si apre con un capolavoro indiscusso: La neve era sporca, storia dell'iniziazione alla vita e all'amore di un giovane uomo, in una città occupata dai nazisti dove tutto è tradimento, rancore, doppio gioco. Al periodo «americano» appartengono La morte di Belle e L'orologiaio di Everton, splendidi esempi della ineguagliata capacità di Simenon di scrutare a fondo quello che lui stesso amava definire «l'uomo nudo» (un professore che sarà «costretto» dallo sguardo degli altri a essere un assassino, e un padre che vedrà realizzato nella ribellione del figlio il proprio, sempre soffocato, bisogno di rivolta). Seguono Il presidente (tagliente apologo sul potere) e Il treno (storia di una passione amorosa nella Francia in cui dilagano le truppe tedesche). A chiudere il volume, due romanzi, entrambi della fine degli anni Sessanta, non ancora presenti nel catalogo Adelphi: L'angioletto (che Simenon prediligeva) e Il gatto (un faccia a faccia senza esclusione di colpi tra un marito e una moglie che si odiano ma non possono fare a meno l'uno dell'altro: ne è stato tratto un film con Jean Gabin e Simone Signoret). Accanto a questi, tre inchieste del commissario Maigret, fra cui il delizioso Le memorie di Maigret, dove il personaggio incontra il suo autore e non si perita di tranciare giudizi su di lui. A ciascun testo i curatori - fra i maggiori specialisti di Simenon - dedicano un'ampia Nota che ne ricostruisce la genesi e i molteplici legami con l'opera e la biografia dell'autore.
Questa volta Pardon è stato tassativo: il suo vecchio amico Maigret deve prendersi tre settimane di vacanza; e senza lasciare recapiti al Quai des Orfèvres. Così, alla fine di giugno, il buon dottore lo ha spedito a passare le acque a Vichy, dove, in compagnia della moglie, il commissario si annoia docilmente: ogni mattina beve i suoi bicchieri d'acqua, poi passeggia lungo i viali bordati di platani, seguendo sempre lo stesso itinerario, e la sera ascolta con orecchio distratto il concerto nel chiosco. Sullo sfondo, l'edificio bianco e sfavillante di luci del casinò - dove, ovviamente, lui e la moglie non mettono piede. Nel frattempo però, da quell'inguaribile scrutatore d'anime che è, non rinuncia a osservare i suoi compagni di cura. Tra loro ce ne sono un paio che hanno subito attirato la sua attenzione: in particolare, una donna non più giovanissima, con un lungo viso affilato, di un'eleganza un tantino rétro, e come votata alla solitudine (“la solitudine allo stato puro”). La signora in lilla: così l'ha soprannominata. E quando un giorno legge sul foglio locale che è stata assassinata, scatta in lui un riflesso condizionato: il desiderio di saperne di più, e di prendere parte alle indagini. Tant'è: quella mattina la signora Maigret dovrà trattenere un sorriso nell'accorgersi che l'itinerario della passeggiata ha subìto un'impercettibile variazione, e li ha condotti, guarda caso, giusto davanti alla villa dove abitava la vittima.
Sarà un caso, ma le frizzanti mattine di primavera, quelle in cui ci si sente più allegri e leggeri, preannunciano regolarmente le inchieste più rognose. È il 4 marzo, e una lettera anonima avvisa Maigret che di lì a qualche giorno verrà commesso un omicidio - e che non c'è modo di evitarlo. Non si tratta del solito mitomane: lo stile accurato, il tono deciso fanno presagire il peggio. La preziosa carta da lettera permette subito di risalire a un giurista di fama internazionale, specialista di diritto marittimo, Émile Parendon: è fin troppo chiaro che qualcuno ha voluto attirare il commissario nel sontuoso appartamento - studio di avenue Marigny, a due passi dall'Eliseo e dal ministero degli Interni. Ma chi? Lo stesso Parendon, una sorta di gnomo ironico e sottile, ossessivamente dedito al lavoro e alla passione per la psichiatria? La spavalda Antoinette Vague, sua segretaria e amante? La ribelle figlia Bambi, studentessa di archeologia? O il più giovane e solitario Gus, liceale con la mania della musica e dell'elettronica? O forse, perché no?, la sofisticata, aristocratica Madame Parendon, persuasa che il marito sia un uomo pavido e malato che cela tendenze suicide? Quel che è sicuro è che una terribile minaccia incombe su quella casa immensa e fastosa in cui si aggirano silenziosi cameriere e maggiordomi, su quel reticolo di rapporti gelidi e indecifrabili. Per due giorni, un Maigret abbagliato e sempre più confuso, vivrà in avenue Marigny una vita lontana mille miglia dalla sua - e una discesa agli Inferi dei rapporti familiari.
Si dà arie da gangster, Petit - Louis. Fa lo sbruffone. Ma è solo una mezza cartuccia. Al massimo può fare il palo, o distrarre i turisti sfaccendati con le sue prodezze di giocatore di bocce, mentre altri, i gangster veri, rapinano l'ufficio postale di Le Lavandou. E non sa neanche resistere alla tentazione di lasciar intendere alla matura signora che quella notte se lo porta nella sua camera d'albergo che sì, con quel colpo lui c'entra qualcosa. La signora, del resto, che si è presentata come contessa d'Orval, è fasulla quanto lui: è una ex cocotte che si fa mantenere da un piccolo industriale di provincia. Della sedicente contessa Petit - Louis diventerà l'amante: vitto, alloggio e qualche regalino di un certo valore gli fanno comodo per un po', anche perché deve starsene nascosto. Un giorno però la signora verrà trovata morta, con il cranio fracassato, e Petit - Louis sarà arrestato con l'accusa di omicidio. Tutte le apparenze sono contro di lui, e il suo passato da teppistello gioca a suo sfavore. Eppure, costretto a subire un processo che si rivela una farsa, a confrontarsi con una giustizia simile a «una macchina mostruosa», una specie di «immensa macchina tritatutto», quello che finora è stato solo un piccolo, fatuo malavitoso inizia a vivere «la sua vera vita, la vita secondo il suo Destino». E questo, come accade al Frank di La neve era sporca o al Kees Popinga dell'Uomo che guardava passare i treni, o allo stesso signor Hire, gli conferirà una intensità, una statura, una tragicità in qualche modo eroiche.
«Ma cos’hanno i romanzi di Simenon, che ci rimangono incollati alle mani e non ci danno tregua fino all’ultima pagina? E perché ogni volta ci lasciano dentro un’amarezza strana, come se ci avessero portato in un punto dove non volevamo arrivare, che non volevamo conoscere? La risposta probabilmente sta nella profonda onestà intellettuale di Simenon, nella sua incapacità di mentire, di raccontarci la vita migliore di quello che è ... di sicuro Simenon era in contatto con la natura profonda della vita, e i suoi romanzi nascono dalla consapevolezza di ciò che veramente sono gli esseri umani, di quali forze segrete li muovono, e di quanto provano inutilmente a dimenticare la propria implacabile sostanza. Una conferma arriva da questo romanzo del 1954, L’orologiaio di Everton » (Marco Lodoli).
«Si sforzava, suo malgrado, di immaginare quella coppia di stranieri eleganti, sbucata Dio solo sa da dove nello studio di un modesto medico di quartiere. Pardon aveva capito subito che quei due non appartenevano al suo mondo, né a quello di Maigret o della gente che, come loro, abitava attorno a rue Picpus.
«Capitava spesso, al commissario, di imbattersi in personaggi di quel tipo, che a Londra, New York o Roma si sentono come a casa propria, prendono l’aereo come gli altri prendono il métro, scendono in alberghi di lusso e, a qualunque latitudine, ritrovano le loro abitudini e i loro amici.
«È una sorta di massoneria internazionale, e non solo del denaro, bensì di un certo stile di vita, di certi atteggiamenti, e anche di una certa morale, diversa da quella del comune mortale.
«Con loro Maigret non si sentiva mai del tutto a proprio agio, e a stento reprimeva un’irritazione che si sarebbe potuto scambiare per invidia».
Sullo sfondo – come in un campo lunghissimo di John Ford o di Sergio Leone – le montagne dell’Arizona, che sembrano «racchiudere il mondo da tutti i lati»; in primo piano un uomo a cavallo, che percorre la pista che conduce alla statale per Tucson: il «Grande Passaggio, attraverso il quale, allorché non esistevano né treni né automobili, erano transitati uomini e mandrie, e buoi, cavalli e carri a migliaia». Oggi, 7 ottobre 1947, l’uomo a cavallo, John Evans detto Curly John, il rispettato proprietario del ranch della Giumenta perduta, compie sessantotto anni, ma in sella si tiene ancora ritto come quando ne aveva venti. Come quando lui e il suo amico Andy Spencer erano arrivati nel selvaggio Ovest in cerca di fortuna. C’è un punto della pista dove, ogni volta che ci passa, a Curly John sembra quasi di «provare il dolore di quel giorno»: trentotto anni prima, lì ha ucciso Romero, il messicano che qualcuno aveva pagato per farlo fuori. Dopo, tutto è stato diverso: Andy, il suo grande amico, che Curly John sospetta di essere il mandante del tentato omicidio, è diventato per lui «l’Innominabile». Ma il caso – una vendita all’asta in cui quasi a malincuore Curly John entra in possesso di un vecchio baule – cambierà le carte in tavola. L’amicizia virile, la vendetta, il perdono; e le miniere, il deserto, i saloon e le case da gioco: gli elementi del buon western ci sono tutti, e con questi Simenon ci offre una sua personale, avvincente variazione sul tema.
Il tempo passa per tutti, ma non per Maigret. Lavora alla Polizia giudiziaria da trent’anni, la pensione non è lontana, e la signora Maigret sta persino prendendo lezioni di guida in modo che durante il fine settimana possano raggiungere più facilmente Meung-sur-Loire e la loro casa di campagna. Eppure il commissario non ha affatto perso la sua miracolosa capacità di prendersi a cuore ogni inchiesta come fosse la prima, di assorbire come una spugna l’atmosfera degli ambienti in cui indaga, e soprattutto di mettersi nella pelle degli altri. Persino del giovane pallido, dall’aria stanca e ansiosa, che prima lo alleggerisce del portafogli sull’autobus, poi gli rispedisce il maltolto, distintivo compreso, al Quai, e infine lo convince a seguirlo nel surreale appartamento in cui vive per mostrargli il cadavere della moglie Sophie, freddata la notte prima con un colpo di rivoltella alla testa. Fragile, tormentato, geniale, aspirante romanziere o forse sceneggiatore, François Ricain detto Francis si aggrappa a Maigret come a una zattera e lo trascina in un milieu di giovani intellettuali ambiziosi, squattrinati e ribelli, che si accompagnano a ragazze dai capelli cotonati e l’espressione imbronciata, passano le loro notti tra fumo e alcol e sembrano fregarsene di tutto e di tutti – «dei selvaggi, scostumati e maleducati», secondo i vicini. Di rado qualcuno ha incuriosito Maigret quanto Francis. Con lui si mostra stranamente comprensivo, quasi indulgente. E c’è una ragione segreta: che avrebbe fatto lui, integerrimo tutore della legge, se avesse avuto un figlio come Francis?