Il testo offre una riflessione sul ruolo della cultura nella società contemporanea, sullo stato della letteratura e sulle responsabilità degli scrittori e degli artisti in genere. Nel corso del Novecento nazismo e stalinismo, con le loro atroci falsificazioni, hanno tentato di distruggere l'umanesimo centroeuropeo. Le tecniche di persuasione dei mass media e della pubblicità favoriscono da decenni la diffusione della volgarità, dell'approssimazione, della cupidigia. D'altro canto scienze come la matematica e la fisica pretendono dal linguaggio una esattezza assoluta. Steiner offre una impietosa diagnosi delle malattie che stanno privando la parola di forza e legittimità.
Oggi parliamo fin troppo di insegnamento, educazione e formazione, ma molto poco di "maestri". Certo, la figura del maestro è avvolta da un'aura retorica che può intimidire, e porta con sé l'asimmetria del rapporto con il discepolo e quella tensione erotica che li lega. Attraverso una serie di figure esemplari George Steiner individua tre modalità fondamentali di questa relazione e risale fino ai due maestri che, pur non avendo lasciato una sola riga scritta, hanno fondato la tradizione occidentale: Socrate e Gesù.
"L'Antigone di Sofocle non è un 'testo qualunque'. E' una delle azioni durature e canoniche nella storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica. Al centro di questo libro si trova l'abbozzo di un tentativo di rispondere a una domanda: Perché una manciata di miti greci antichi continua a dare la sua forma vitale alla nostra percezione di noi stessi e del mondo? Perché le 'Antigoni' sono davvero 'éternelles' e direttamente rilevanti al momento presente?" George Steiner mette a confronto le varie interpretazioni del mito di Antigone nella letteratura, nel pensiero critico e sulle scene, da Euripide a Brecht, da Holderlin al Living Theatre.
In Occidente, nella terra del tramonto, «non abbiamo più inizi». Così esordisce George Steiner per interrogarsi sulle maniere in cui le arti, le religioni, la filosofia e la scienza hanno organizzato l'esperienza e la percezione della creazione, dell'invenzione e della scoperta. «Grammatiche della creazione» pone a confronto i fondamenti della nostra cultura - dalla Bibbia a Platone, da Dante a Shakespeare - con le più recenti ipotesi sul Big Bang, gli sviluppi della matematica, l'ontologia di Heidegger, le liriche di Celan e le esperienze delle avanguardie nelle arti visive e nella musica. Costruisce così una serrata indagine sul mistero della creatività e una drammatica diagnosi del nostro presente.
Nella società contemporanea, elettronica e cultura di massa stanno trasformando la produzione, la diffusione e la conservazione dei segni. In questa situzione come può sopavvivere il libro, che ha plasmato così in profondità la nostra cultura? Steiner indaga lo statuto del libro ed esplora l'enigma della rivelazione attraverso il linguaggio, che è il fondamento del giudaismo e del suo tragico destino. In questi saggi la riflessione tocca anche Shakespeare e Kafka, la negatività della tragedia assoluta e la peculiarità della cultura americana, la storicità dei sogni, e il problema della traduzione e della traducibilità, fino a interrogare i lasciti della testualità classica ed ebraica.
"Agli studenti bisogna dire di non leggere le critiche, ma di leggere i testi. Tutto il mio libro è un grido d'orrore per ciò che accade nel mondo universitario. I miei studenti a Cambridge hanno un esame in cui discutono l'opinione di T.S. Elliot su Dante senza dovere leggere Dante, un solo verso di Dante. (...) Quello che ci vuole è un'interpretazione dinamica, un'interpretazione che sia azione e non passività. Leggere la critica, leggere i testi "secondari", significa essere passivi, come davanti alla televisione; significa rinunciare alla responsabilità dell'azione. (George Steiner da un'intervista su "Linea d'ombra")