La globalizzazione - e la fine delle diffidenze della Guerra Fredda favoriscono la solidarietà con persone lontane. Questo amore per il distante sembra promosso anche dalle comunicazioni elettroniche e dai viaggi più facili. Ma quello che amiamo così è spesso un'astrazione, e chi ne paga il prezzo è l'amore per il prossimo richiesto per millenni dalla morale giudaico-cristiana. Come in un circolo vizioso, questa tendenza si salda con l'indifferenza per il vicino prodotta dalla civiltà di massa e dalla scomparsa dei valori tradizionali. E come nel momento in cui Nietzsche proclamò la "morte di Dio", siamo alla soglia di un territorio radicalmente nuovo. Dove la morale dell'amore non è più possibile per mancanza di oggetto.
Fra gli studi sulla crisi della modernità, questo saggio si inserisce con forza da una prospettiva inattesa. I nostri antenati greci avevano un sistema di valori indivisibile, fatto di giustizia e bellezza. La bellezza, raccolgliendo approvazioni indiscutibili, aiutava ad assicurare un consenso anche alla morale. Una relazione armonica tra bellezza e giustizia sopravviveva nel Rinascimento, insieme a un rapporto tra piazza e palazzo. Ma il protestantesimo e la modernizzazione spaccano questa unione, in nome di una giustizia ascetica e della funzionalità. Il bello, non essendo direttamente utile, si incammina in direzione del passatempo e dell'investimento. Intanto, privatizzazione e razionalizzazione della vita eliminano la piazza, dove si godeva la bellezza gratuitamente e insieme. L'arte si fa specialistica e la massa si abitua alla bruttezza come condizione normale. Ma il cinismo verso i valori della giustizia, che la società di oggi si rimprovera, potrebbe derivare anche dall'aver eliminato quelli della bellezza, da cui la loro radice è inseparabile.
Lo sfruttamento del pianeta e delle sue risorse ha conseguenze sempre più allarmanti. Tuttavia, se ne discutono quasi soltanto aspetti tecnici: il buco nell'ozono, per esempio. Non quelli psicologici. Quando lanciamo l'allarme perchè incontriamo limiti esterni - come il surriscaldamento della Terra - è già tardi. Osserviamo gli effetti di un processo - i bisogni crescenti - messo in moto molto tempo prima. Perché non siamo più capaci di limitare i nostri bisogni? Se discutiamo dei limiti dello sviluppo, dovremmo chiederci perché vogliamo uno sviluppo senza limiti. Ci accorgeremo allora che questa tendenza è relativamente recente e storicamente condizionata. Quasi fino a ieri, il mondo era agricolo, cercava solo di riprodurre i cicli dell'anno e i suoi frutti stagionali. La storia dell'Occidente è la storia dello scavalcamento di quel modo di vita, sostituito dall'espansione senza limiti; dalla metastasi delle produzioni, che è una conseguenza della metastasi dei bisogni. Come per l'economia, anche per capire la storia dovremo usare uno sguardo psicologico. L'origine, infatti, sta in un'inconscia conversione dei nostri antenati. Per gli antichi greci, la morale stava nell'osservanza dei limiti. Gli dèi volevano la felicità solo per sé, erano invidiosi, punivano chi aveva o voleva troppo. Ma proprio i greci si insuperbirono dei loro successi e capovolsero il tabù del limite: cominciarono a sostituirsi agli dèi.
Consumando droga, si cerca di trascendere uno stato di insignificanza e si ricalcano inconsciamente i modelli degli antichi riti di iniziazione: morte della personalità esistente fino ad allora e rinascita. Spinto dalla fretta del consumo, il tossicomane tralascia la prima fase. Negata come esperienza psicologica, la morte si presenta allora come tipica sensazione nelle fasi di astinenza e, a volte, come esito tragico della tossicodipendenza. In questa edizione riveduta e aggiornata, l'autore ricerca, dietro la distruttività del fenomeno "droga", possibili motivazioni costruttive, interrogandosi, a scopo di prevenzione, sui modelli inconsci che guidano verso la tossicodipendenza malgrado consciamente se ne conoscano i pericoli.
Il cammino di questo libro attraversa sia il mondo classico che la società odierna. Non è tanto la modernità a prendersi il solito diritto di interpretare l'antichità: spesso è invece la psiche "moderna" a venir descritta da un punto di vista antico. Il movente delle azioni umane non è la passione per il sapere e per il conoscere - come può averla avuta Edipo -ma il bisogno di vivere intensamente. Temi come creazione e crescita, tragedia e analisi, psiche e società, sono tutti radicati nel simbolico e vengono visitati in tanti modi. Così, con i temi cambia anche lo stile della scrittura: a volte vediamo lavorare un artigiano (sono spiegate pazientemente le etimologie, minuziosamente ricostruiti fatti storici) a volte invece una parola cade come una spada, tagliando l'inerzia del pensiero moderno ("la tragedia ride del nostro turbamento"), a volte scorre in un racconto quasi epico, ci avvolge con le sue immagini sensuali e ci conduce, senza che ce ne accorgiamo, fino all'orlo di un paradosso. Come in tutte le vere odissee, la meta non è il luogo dove si arriva alla fine, ma il continuo trasformarsi durante il viaggio.