Oslo è nella morsa di una delle estati più torride che la storia ricordi. Anche mettere due patate sul fuoco sembra un supplizio, ma quando, in un appartamento del centro, delle grosse macchie nerastre si allargano nell'acqua che bolle su un fornello, la signora che sta cucinando capisce che non può essere colpa del caldo e, sollevando gli occhi al soffitto, vede un denso liquido scuro colare attraverso l'intonaco. Al piano di sopra, il quinto, una giovane donna giace in una pozza di sangue, assassinata. Un dito è stato reciso dalla sua mano sinistra e dietro la sua palpebra è stato nascosto un minuscolo diamante a forma di stella a cinque punte, la stella del diavolo. Nello stesso momento, in un altro punto della città, il detective Harry Mole giace nel suo appartamento, completamente ubriaco. Dall'assassinio della sua collega Ellen non si è più ripreso, scivolando a poco a poco in uno stato di abbattimento che lo ha portato al completo isolamento e alla sospensione dal servizio. Tuttavia, è proprio il capo della polizia, Bearne Moller, a costringerlo a riemergere dal suo stupore alcolico. È a corto di uomini ma, soprattutto, vuole dare a Hole un'ultima chance.
A Fort-Lamy, nell'Africa Equatoriale Francese, il centro d'attrazione è l'Hotel del Ciadien. Il caffè-bar-dancing è di proprietà di Habib, una canaglia col sigaro perennemente alle labbra, il sorriso beffardo che non si rivolge a nessuno in particolare, ma pare destinato alla vita stessa, e di un suo protetto: de Vries, un giovane esile, eretto, capelli biondi ondulati, che si fa vedere raramente a Fort-Lamy e trascorre il tempo a braccare la natura in tutti i suoi rifugi col suo bel fucile col calcio incrostato d'argento. Fino a qualche tempo fa il Ciaden era un luogo piuttosto desolato, poi è arrivata Minna, tedesca, bionda, un gran corpo vistoso, un passato da dimenticare alle spalle, e l'atmosfera è cambiata. Un giorno, mentre Minna è al bar intenta a scegliere i dischi per la serata, piomba sulla pista da ballo un uomo con un viso energico e un po' scuro, i capelli castani e ricciuti, che ogni tanto rigetta indietro con un gesto brusco. L'uomo ordina un rhum. Poi comincia a parlare a Minna. Non le dice né chi è né da dove viene, ma le parla degli elefanti, delle migliaia di elefanti che vengono uccisi ogni anno in Africa. Meravigliosi animali in marcia negli ultimi grandi spazi liberi rimasti al mondo, abbattuti senza pietà. E così, quasi senza accorgersene, Minna e Morel, il "francese pazzo", l'"avventuriero dello spirito" compiono l'uno verso l'altra i primi passi di un'avventura che diventerà leggenda in Ciad e in tutta l'Africa Equatoriale Francese.
È una calda giornata di giugno, Josefin Cederén cammina con la figlia Emily lungo la strada di un quartiere residenziale di Uppsala, quando improvvisamente una macchina le investe con violenza, uccidendole. Quello stesso giorno, scompare Sven-Erik Cederén, marito e padre delle due vittime, ora principale sospettato del duplice omicidio. Ma davvero si è trattato di un dramma privato? È possibile che un uomo arrivi ad annientare la propria famiglia? Alla guida delle indagini, Ann Lindell, trentacinque anni, da quindici all'anticrimine di Uppsala, non ne è del tutto convinta. C'è anche un'altra pista che si fa strada: Cederén potrebbe essere coinvolto in un clamoroso scandalo farmaceutico internazionale. Impegnata nelle ricerche con la determinazione che la distingue, Ann intanto sente sempre più forte il desiderio di una vita normale, ma proprio quando è convinta che le cose comincino a girare nel verso giusto, si trova improvvisamente davanti a una scelta decisiva che rimette tutto in discussione.
Fatemeh ha quindici anni, e negli occhi e nel cuore si porta il ricordo della zia, uccisa sulla pubblica piazza. La sua colpa? Aver fatto l'amore con lo zio materno di Fatemeh quando era stata già promessa in sposa a un altro, un mullah. Adulterio, quindi, pur senza essere sposata. "La muta": così veniva chiamata questa zia tanto bella quanto silenziosa, che aveva scelto il silenzio come "arte di vivere", perché "tacere significava forse non tradire la verità", fatta di traumi troppo dolorosi da dire. E adesso tocca a Fatemeh, la nipote fedele. Sposata a quello stesso mullah cui era stata promessa in sposa la muta, costretta a subire la violenza sessuale di un uomo che non ama e le angherie delle sue altre mogli, ha ucciso il marito e il frutto di quell'amore violento - una bambina che avrebbe a sua volta subito il destino delle donne iraniane. In carcere, dunque, mentre attende la pena atroce che ha già portato via la muta, Fatemeh scrive il racconto della sua vicenda e rievoca quella della zia. Donne sole, impotenti, ma accomunate dalla volontà di opporsi al fondamentalismo islamico.
Nel 1984 Márai ha ottantaquattro anni, e vive negli Stati Uniti da più di trenta. Fra il gennaio del 1984 e il febbraio del 1989 scompaiono i due fratelli e la sorella, e anche il figlio adottivo, appena quarantaseienne. Ma soprattutto muore Lola, la donna che è stata la sua compagna per sessantadue anni: Márai, che ha coltivato il sogno impossibile di morire insieme a lei, è costretto a vederla spegnersi lentamente e, dopo averne disperso le ceneri nell'Oceano, a proseguire un'esistenza che ormai non ha più senso. "Scrivevo per lei, ogni singola riga. Non ho più per chi scrivere" annota; il pensiero della "letteratura", dirà più volte, gli provoca ormai solo nausea e disgusto. Eppure - e fin quasi alla vigilia della morte - il vecchio "scrittore ungherese" continua, in questo monologo ininterrotto che è il suo diario, a registrare annotazioni di ogni genere: aforismi perfetti; lucide riflessioni sulla letteratura, sul mondo contemporaneo, sul tema dell'esilio e sulla condizione di esule - e naturalmente sulla prossimità della morte. Sándor Márai scrive l'ultima frase il 15 gennaio del 1989: "Aspetto la chiamata alle armi. Non la sollecito, ma neppure la rinvio. È arrivato il momento". Esattamente un anno prima si era comprato una rivoltella ed era andato più volte in un poligono di tiro per imparare a usarla. Il 21 febbraio, tredici mesi dopo la morte di Lola, si uccide.
Il "notturno" in musica è una composizione di carattere lirico e melodico, veicolo di atmosfere sognanti e sentimenti ambivalenti, e in senso ampio ispirata alla notte. Nei cinque racconti di questa raccolta prevale l'ambientazione notturna delle scene cardine, la qualità onirica e comunque surreale delle vicende e soprattutto quell'alternanza di toni lievi e toni gravi che contraddistingue anche il genere musicale. Una sinestesia quasi perfetta dunque. Ma con un'importante eccezione: se il rigore della costruzione di parole in Ishiguro assorbe e maschera pressoché del tutto le tempeste della vita, è nel rapporto dei protagonisti di Notturni con la musica che il disagiò si rivela. Il crooner del primo racconto, per esempio, uno di quei vecchi cantanti melodici americani ormai fuori moda, ha alle spalle un passato di successi di cui vorrebbe tanto trattenere qualche brandello. La serenata - ovviamente notturna - che dedica alla moglie a bordo di una gondola, sembrerebbe il romantico pegno d'amore di un gentiluomo d'altri tempi ed è invece il primo atto di una cinica (e un po' ridicola) operazione di restyling.
In una Istanbul labirintica e malinconica descritta con straordinaria vivezza e precisione, un giovane avvocato, Galip, parte alla ricerca della moglie scomparsa. Prima di lasciarlo, Rüya ha scritto una lettera d'addio, e al di là delle diciannove, vaghe parole contenute nel messaggio, Galip è colpito dal fatto che la moglie abbia usato una biro verde. Una biro come quella che Galip aveva perso in mare quand'era bambino durante una gita in barca con Rüya, e che Celâl, fratellastro di Rüya, aveva inserito in una magistrale puntata della sua rubrica sul "Milliyet" dove immaginava tutti gli oggetti che sarebbero venuti alla luce "il giorno che il Bosforo andrà in secca". Tutto a Istanbul è inestricabilmente legato, e come in un sogno tutto può assumere un altro significato e ogni nome diventare pseudonimo. Celâl è un giornalista importante, amato e odiato, ma comunque molto letto. Dice di sé che avrebbe preferito occuparsi soltanto di argomenti solenni, battaglie decisive e amori infelici. Si ritrova invece a essere uno scrittore "pittoresco", impegnato in un'opera enciclopedica di ricostruzione della città, attraverso gli oggetti della modernità dai nomi occidentali e quelli polverosi e mezzi rotti della tradizione ("le cose che ci siamo lasciati alle spalle"). Ma Celâl non può aiutare Galip nella sua indagine perché è scomparso anche lui.
"Ruach" in ebraico significa vento, ma anche spirito, e "ruach refaim" è lo spirito dei morti, il fantasma. Il vento, in questo romanzo di Abraham B. Yehoshua, è quello che si insinua nelle fessure di un grattacielo di recente costruzione a Tel Aviv e provoca sibili e ululati che turbano gli inquilini. Amotz Yaari, il progettista degli ascensori, viene chiamato a indagare e a difendere il buon nome del suo studio dalle accuse che gli vengono rivolte. È la settimana di Hanukkah, una delle feste più amate in Israele, ma non è una settimana facile per Amotz. Sua moglie Daniela, che ama moltissimo è partita per la Tanzania, dove in una specie di esilio volontario vive Yirmiyahu, vedovo della sorella di Daniela. Da quando suo figlio è stato ucciso per sbaglio da un commilitone durante un'azione nei territori occupati, Yirmiyahu non sopporta più di vivere in Israele. Non solo: non vuole più vedere un israeliano o leggere un giornale o un libro scritto in ebraico. Vuole liberarsi dalla storia del suo paese, e per farlo ha accettato un lavoro di contabile al seguito di una spedizione paleoantropologica in Africa. Alla ricerca degli ominidi preistorici, per non rischiare dolorosi incontri con la storia. Al centro del racconto, il ricordo di un giovane ucciso, la rabbia per quelle due parole - "fuoco amico" -, il rifiuto di vivere in un paese continuamente in guerra, ma anche la sete di normalità, l'amore e la testarda volontà di tenere unita la famiglia.
In un affollato quartiere residenziale di Tokyo quattro studentesse trascorrono un'estate caldissima preparandosi ad affrontare gli esami per l'ammissione all'università. Sono molto diverse tra loro: Toshi è affidabile e sicura, Yuzan riservata e malinconica, Terauchi ha un grande talento per gli studi, Kirarin occulta dietro la sua dolcezza un'attrazione morbosa per i comportamenti estremi. Un rumore inconsueto che proviene da un appartamento stravolge improvvisamente il loro destino: il vicino di casa, un liceale che le quattro amiche chiamano il Vermiciattolo, ha ucciso la madre ed è scappato con la bici e il cellulare di una di loro. In fuga dalla polizia, il giovane assassino inizia a contemplare affascinato il proprio volto riprodotto in fotografie e servizi televisivi, assapora l'improvvisa visibilità mediatica, il racconto della sua vita riscritto da giornalisti e reporter, e asseconda la curiosità collettiva intorno alle ragioni che lo hanno spinto a uccidere. Il pigro distacco del giovane si trasforma progressivamente in una consapevolezza crudele: insensibile alle conseguenze del suo crimine, vuole che le ragazze scrivano per lui un manifesto filosofico che esalti la lucida follia delle sue azioni... Immerse in una vita di chat, sms e Reality TV, le quattro adolescenti scoprono un mondo scabroso e brutale. Una realtà popolata di ragazzi in attesa di un esempio, di una guida che li riscatti dalla noia di un sistema che non sa comprendere la loro diversità.
Le esistenze di De Quincey, Keats e Schwob raccontate come tre minuscoli romanzi.
Il santo nell'ascensore racconta la Romania di oggi, le sue ferite e i suoi traumi, facendoci sorridere e procedere spediti tra le pagine al ritmo di una musica popolare. «Romanzo di angeli e moldavi», ci sorprende con le parabole surreali del calzolaio Simion che, chiuso nell'ascensore all'ottavo piano, rivela agli altri condomini l'esistenza di Dio e dell'anima. Ognuno degli abitanti del palazzone popolare di Via delle Pecore trova in Simion - che interpreta a suo modo la pratica degli asceti stiliti - una guida spirituale: la moglie infedele, il professore ricattato dalla sua allieva, la ragazza sedotta dal fìnto maestro di yoga, il bambino innamorato della sua professoressa di Lettere... Anime spaesate nel loro stesso Paese, diviso tra vecchia mentalità statalista, leggi del libero mercato e civiltà patriarcale.
La detective che narra in prima persona la sua inchiesta è un travestito, giovane, benestante, di successo, passabilmente felice. Di giorno progetta sistemi antihacker per i computer di ditte importanti, di notte dirige un suo club, nel cuore di Bodrum, il quartiere della vita notturna di Istanbul. Un mattino, una delle ragazze, la più elegante e ricercata del suo club, viene a trovarla e sconvolta le rivela il pasticcio in cui s'è infilata. Un uomo potente, che non può essere compromesso in nessun modo, teme lo scandalo e la minaccia: e chi potrebbe aiutare una come lei? La ragazza nei guai si chiama Buse, che significa "bacio" e, prevedibilmente, dopo quella disperata richiesta è scomparsa. L'amica inizia a cercarla, presto scopre che Buse è stata uccisa, e a spingerla a improvvisarsi detective sono le circostanze, ovvero l'indifferenza della polizia e la caccia che aprono contro di lei certe organizzazioni, criminali e di nazionalisti tradizionalisti. Da questo momento inizia per il lettore un itinerario alla Maigret negli interni di un'umanità varia, nel loro piccolo tran tran e nei divertimenti, nelle confessioni e nei loro sogni: l'umanità parallela, a suo modo integrata, dei travestiti e degli omosessuali di una grande e intricata Istanbul.