L'autore affronta in questo libro temi sociologici e antropologici oggi molto attuali: il dilagare dell'anoressia e dei disordini alimentari, l'angoscia della solitudine, l'invidia, e in particolare il risentimento, la necessità umana di fondare l'ordine sociale, le apparenze culturali e religiose attraverso l'esclusione di capri espiatori. Secondo l'autore, l'uomo agisce sempre desiderando di essere un altro, che è ad un tempo modello e rivale: ecco il fuoco dell'invidia e del risentimento, ecco le prime micce della violenza e dell'esclusione. Girard mette in luce lo specifico delle interazioni sociali della società contemporanea e ne mostra le forme perverse e spesso esasperate.
Con questo libro, apparso nel 1978 provocando subito grande clamore, Girard si è spinto fino alle cose ultime, quelle che, secondo la parola del Vangelo di Matteo, sono nascoste sin dalla fondazione del mondo". "
Attraversando tutta l'opera di Shakespeare, da una commedia giovanile poco frequentata dalla critica quale "I due gentiluomini di Verona" a opere capitali come "Il sogno di una notte di mezza estate" e "Giulio Cesare", fino agli esiti tardi e supremi della "Tempesta" e del "Racconto d'inverno", Girard ha ritrovato in tutti i suoi ingannevoli meandri la drammaturgia del conflitto mimetico, che ha al suo centro il peccato più inconfessabile: l'invidia. Alla fine il risultato è duplice: da una parte la teoria di Girard si riveste del sontuoso tessuto della parola shakespeariana; dall'altra il testo di Shakespeare dà una grossa prova della sua inesauribilità, rivelando scorci, strutture e prospettive sconvolgenti.
«È criminale uccidere la vittima perché essa è sacra ... ma la vittima non sarebbe sacra se non la si uccidesse». Questo terribile, paralizzante circolo vizioso si incontra subito, quando si esamina la realtà del sacrificio. Di fronte a esso l’ambivalenza tanto frequentemente evocata dal pensiero moderno ha l’aria di un pio eufemismo, che malamente cela il segreto non già di una pratica estinta, ma di un fenomeno che ossessiona il nostro mondo: la violenza – e il suo oscuro, inscindibile legame con il sacro. Nesso tanto più stretto proprio là dove, come nella società attuale, si pretende di conoscere il sacro soltanto attraverso i libri di etnologia: del sacro si può dire infatti, osserva Girard, che esso è innanzitutto «ciò che domina l’uomo tanto più agevolmente quanto più l’uomo si crede capace di dominarlo».
Che cosa lega, che cosa tiene insieme una società? Il «linciaggio fondatore», l’ombra del capro espiatorio, risponde Girard – e la brutalità della risposta è proporzionale alla lucidità, alla sottigliezza, all’acutezza delle analisi che a tale conclusione portano. Si tratti della tragedia greca o di riti polinesiani, di Frazer o di Freud, di fenomeni del nostro mondo o di grandi figure romanzesche, sempre Girard riesce a mostrarceli nella luce di quell’evento primordiale, sempre taciuto, sempre ripetuto, in cui la società trova la sua origine, rinchiudendosi nel circolo vizioso fra sacro e violenza.
In questo libro, che apparve in Francia nel 1972, molti ormai hanno riconosciuto il fondamento di un’opera di pensiero fra le più rilevanti del nostro tempo. Con gesto drastico, Girard è sfuggito a quelle disparate neutralizzazioni del religioso a cui l’antropologia, da decenni, ci ha abituato – anzi ha individuato in questo delicato escamotage scientista «una espulsione e consumazione rituale del religioso stesso, trattato come capro espiatorio di ogni pensiero umano». Il mana, il sacrum, il pharmakon, queste parole dal potere contagioso, cariche di ambiguità e di significati contraddittori, tornano qui al centro della riflessione, come sono di fatto al centro della vita. Ma, proprio perché, come ha osservato Girard, «la semplicità e la chiarezza non sono di moda», e proprio perché tali parole sono per eccellenza complesse e oscure, l’indagine che qui viene proposta ha un’evidenza, una nettezza, una precisione che si impongono sin dalle prime righe. E alla fine ci troveremo faccia a faccia con una constatazione bruciante sulla realtà che ci circonda: «La tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza».