Questo studio si propone di presentare Divo Barsotti come un uomo "dentro il Concilio". Si tratta di una sfida per niente facile in quanto Barsotti è stato spesso - e lo è tuttora - considerato da più parti come un uomo fuori dal Concilio o perlomeno come uno che, se per un certo periodo vi è stato dentro, si è successivamente chiamato fuori. Si ha dunque a che fare con un autore che va conosciuto e accolto nella sua complessità, di fronte al quale è necessario stare bene attenti a non estrapolare con troppa facilità certe affermazioni dal loro contesto, per non cadere nell'errore di bollarlo come un nostalgico conservatore o, al contrario, come un rivoluzionario o addirittura un anarchico.
Costantino è il primo imperatore cristiano. È il sovrano che si è convertito prima della battaglia di Ponte Milvio, dopo aver visto in cielo la croce con la scritta In hoc signo vinces, e che ha messo fine alle persecuzioni, concedendo libertà di culto ai cristiani. Ma cosa sappiamo realmente di lui? In passato la storiografia diffidava di Costantino, giudicandolo un cinico politicante guidato da calcoli elettorali. Ma dall'ultimo dopoguerra fra gli storici si è diffuso un clima di ammirazione e di ossequio verso il protagonista di quella che molti ritengono la più grande svolta storica mai avvenuta. In questo libro fortemente polemico, Alessandro Barbero ci dice che è impossibile ricostruire con certezza il personaggio di Costantino e che la storiografia recente dà prova di un'inquietante mancanza di spirito critico, sia nei toni celebrativi con cui presenta la figura dell'imperatore, sia nell'ingenuità con cui accetta come autentiche, fonti che meriterebbero un approccio ben più scettico e che, in realtà, se prese alla lettera - lungi dal giovare alla sua immagine - dipingerebbero il profilo poco edificante di un tiranno disturbato.
Diversamente dalle altre aree del mondo nelle quali si trovarono a operare, i missionari della Compagnia di Gesù dovettero misurarsi in Giappone con l’ostilità di una buona parte dell’aristocrazia, che si riteneva depositaria di una civiltà superiore, e della casta dei Bonzi, che vedeva i propri privilegi minacciati dal pericolo di una nuova religione. Tali difficoltà di insediamento, unitamente al problema della lingua, misero a dura prova le capacità inventive e il processo di adattamento al territorio. Il risultato fu, nelle arti sceniche, una lenta ma progressiva evoluzione di tecniche di rappresentazione, il più delle volte inedite e originali, che non mancarono di utilizzare forme espressive topiche, approdando in qualche caso a veri e propri sincretismi che riguardarono anche il teatro Nō. Ambientato fondamentalmente nel clima della cerimonialità festiva del Natale e della Settimana Santa, il percorso evangelizzatore dei gesuiti consentì in questo modo per la prima volta, anche nei campi della musica, della danza e del teatro, l’incontro fra la cultura occidentale e quella giapponese, determinando contaminazioni che attendono di essere riconosciute nel panorama internazionale della storiografia dello spettacolo.
"Più piste sono aperte da questo libro, sconosciute o quasi fino ad oggi: l'identità, la carriera e il comportamento 'sul campo' degli inquisitori; il Santo Uffizio e le donne; l'Inquisizione e la fede popolare; l'Inquisizione e il sesso, immenso terreno completamente inesplorato." Così Bartolomé Bennassar presenta alcuni dei temi trattati in questo volume, vero e proprio testo spartiacque che - nato dalla raccolta di una straordinaria quantità di documenti processuali, carteggi dei tribunali, rapporti degli inquisitori - ha dato vita a una visione del tutto nuova dell'Inquisizione: non solo istituzione avente come obiettivo la difesa della religione e della Chiesa, ma vero e proprio instrumentum regni in mano alla monarchia spagnola. Con una prosa lucida e rigorosa, Bennassar ripercorre la nascita, lo sviluppo e il tramonto dell'Inquisizione nei suoi tre secoli e mezzo di attività; ne esamina protagonisti, procedure e bersagli - ebrei, musulmani, eretici, cristiani "peccatori", streghe; racconta episodi chiave e si sofferma sulle sue conseguenze etiche e sociali. Restituendoci così il quadro inedito di un organismo religioso diventato un potentissimo, e inquietante, strumento politico.
Al sinodo dei vescovi sulla famiglia dell'ottobre 2015 per la prima volta qualche voce femminile si è fatta sentire e nel documento finale sono state riprese tracce del punto di vista delle donne. Tra loro, Lucetta Scaraffia che, "seduta proprio all'ultimo banco della grande aula del sinodo", ha potuto mettere a fuoco temi e nodi della discussione. In questo libro richiama e amplia quanto affermato nel suo intervento: la Chiesa non può dimenticare che il cristianesimo per primo ha proposto la parità spirituale fra donne e uomini e che è la tradizione cristiana ad aver gettato il seme dell'emancipazione femminile in Occidente. Le donne sono le sole che possano restituire vitalità e cuore a una struttura irrigidita e autoreferenziale. Da queste pagine emerge con forza la consapevolezza che "senza donne", come scrive Scaraffia, "la Chiesa non può pensare il futuro, perché sono le donne che la tengono in piedi e non accettano più di servire senza essere ascoltate". Prefazione di Corrado Augias.
Il volume tratta dei giudizi e, principalmente, delle critiche dei pagani sul conto dei cristiani, della loro fede e delle loro Scritture. Il campo d'indagine copre i primi quattro secoli. Il libro è articolato in due parti: la prima presenta, nel quadro della storia politica e culturale del periodo, i profili e le opere dei principali oppositori; la seconda passa in rassegna alcuni tra i più rilevanti temi di controversia. Emerge una rete di interazioni più fitta di quel che si possa prevedere: il pensiero teologico dei cristiani, così come la loro esegesi biblica, dové tenere conto di una lunga serie di accuse formulate in opere smarrite o censurate. Il testo vuole restituirci una storia scritta dalla prospettiva dei vinti. Questo nuovo punto di osservazione integra e completa quello solitamente già noto.
Ernesto Buonaiuti (1881-1946) è stato uno dei più importanti esponenti del modernismo italiano. Studioso di storia del cristianesimo e di filosofia della religione, fu scomunicato e dimesso dallo stato clericale dalla Chiesa cattolica per aver preso le difese del movimento modernista e fu poi privato della cattedra universitaria per essersi rifiutato di giurare fedeltà al regime fascista. Le lezioni di storia ecclesiastica dedicate all'età antica qui pubblicate, rimaste completamente inedite, sono riemerse solo nel 2011 dall'archivio del seminario vescovile di Bergamo. In esse scopriamo lo spirito più autentico del Buonaiuti studioso, che indaga quasi ogni momento e ogni figura saliente della storia cristiana dell'antichità, facendo emergere in più punti le sue posizioni sulla Chiesa cattolica per la quale, rivendicando i diritti della libera ricerca, ha sempre auspicato un rinnovamento dall'interno.
Il volume raccoglie gli atti delle Giornate di studio "San Benedetto e l'Europa nel 50° anniversario della Pacis nuntius (1964-2014). Un percorso storiografico", promosse dall'Università Europea di Roma con il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura il 28 e il 29 ottobre 2014.
L'ascesa al potere in Europa dopo la Grande Guerra dei regimi totalitari, portatori di concezioni dell'uomo e della vita contrarie alla dottrina e all'etica cristiane, obbligò le Chiese e i credenti ad affrontare il problema della compatibilità tra totalitarismo e cristianesimo. Se il bolscevismo suscitò la quasi unanime condanna da parte cristiana, più complesso e ambivalente fu il confronto con fascismo e nazionalsocialismo. Ci furono credenti che seppero comprendere subito la gravità della minaccia dei totalitarismi per il cristianesimo e la civiltà umana, e li combatterono con decisione e convinzione. Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia e le Chiese protestanti in Germania cercarono di stabilire un dialogo e un rapporto con gli Stati totalitari. In Italia, il primo paese occidentale con un regime a partito unico che sacralizzava la politica e celebrava il culto del capo, Mussolini si era presentato con il Concordato come difensore della Chiesa, la quale considerava il fascismo, come poi il nazionalsocialismo, un "baluardo" contro il bolscevismo, la modernità liberale e la democrazia laica, ma trovava insieme nella religione politica fascista un potenziale concorrente. In Germania, le componenti neopagane che proponevano il nazionalsocialismo come nuova religione anticristiana indussero vescovi cattolici ed esponenti delle confessioni religiose protestanti alla presa di distanza dal regime di Hitler. Il volume indaga gli ambigui rapporti tra chiese e stati totalitari.
Questo volume costituisce una testimonianza autobiografica, arricchita e circostanziata da documenti personali, sul magistero di Giuseppe Dossetti e sulla cerchia di studiosi che con lui animarono il Centro di documentazione, fondato nel 1952 a Bologna. Nel ripercorrere il ruolo che essi ebbero nel Concilio Vaticano II, Paolo Prodi illustra anche l'evoluzione che il Centro (poi Istituto per le scienze religiose) subì nel corso degli anni. La storia di una esperienza di impegno cattolico che ha lasciato un segno rilevante nella politica italiana, nella Chiesa, negli studi.
In questo secondo volume dell'opera "La porta della modernità" il pensiero teologico, la spiritualità, il lavoro pastorale e culturale nella diocesi di Milano sono incentrati su due uomini e due sedi: Carlo e Federico Borromeo con il loro rispettivo operato presso due palazzi della città, quello di Brera, per Carlo, e l'Ambrosiana, per Federico. In loro, e nelle istituzioni da loro fondate, una seria opposizione ai temi della Riforma protestante si sviluppa a partire dalla ben radicata consapevolezza dei grandi meriti di Milano, seconda solo a Roma. I gesuiti, presenti a Brera fino alla soppressione dell'Ordine, garantirono la continuità con un passato dottrinale che lentamente aprirono alle svolte moderne della coscienza filosofica e agli sviluppi del sapere scientifico. In Ambrosiana, l'ampio indirizzo culturale inaugurato da Federico, oltre a dimostrarsi sensibile alla riscoperta delle proprie radici, si spalancò alle civiltà antiche e ai mondi che si affacciavano in Occidente grazie alle relazioni dei missionari e dei viaggiatori. Il cattolicesimo non si avvitò così su se stesso ma, attraverso un processo incerto e faticoso, entrò in rapporto fecondo con chi intendeva plasmare il mondo dell'uomo senza negare la signoria di Dio. Qui s'intuisce già lo sforzo tipico dell'illuminismo cattolico lombardo.