Cominciamo col dire che non erano tre. Le caravelle, ovviamente. Si tratta di un mito durevole, entrato prepotentemente nell'immaginario. Tre come i Magi, come i Moschettieri, per non citare altri e più sublimi paragoni. Volendo essere precisi, due caravelle e una nao: una grossa nave commerciale. Ma poco importa: il mito si costruisce a suon di semplificazioni. L'invito è a salire a bordo e a ripercorrere, passo dopo passo, le tappe del primo viaggio di Cristoforo Colombo, proprio quello che il 12 ottobre del 1492 porterà l'Ammiraglio ad avvistare la terra (le Indie o una sconosciuta?). Come per ogni navigazione, dovremo prepararci imparando a conoscere i tipi nautici, il regime dei venti, strumenti come la bussola, le carte, le tavole di martelogio per il calcolo del punto nave. Ma soprattutto saremo introdotti alla vita di bordo e incontreremo gli uomini che stanno per compiere la traversata. A guidarci sarà il Giornale di bordo, il diario su cui Colombo annotava tutto ciò che viveva in quelle settimane.
"I fascisti spuntarono pochi minuti prima delle due, protetti dal botto dei petardi nelle vie e nei cortili, mentre i balli erano ripresi dopo il brindisi. Da dentro giungevano le note morbide e i versi innocenti di Abat-jour, ma un colpo di pistola nella strada fermò la musica. 'Aprite, o sarà peggio.' Con centocinquantun bossoli per terra finiva la prima notte di gennaio e cominciava il 1922 italiano, l'anno del fascismo." Nei mesi bui che conducono alla dissoluzione dello Stato liberale Mussolini, con la sua concezione tragica e spettacolare della vita, incrocia lo spirito del tempo: la politica viene ridotta alla sua dimensione fisica, la ritualità soppianta la cultura. Attorno, un cielo vuoto di stelle spente, in un mondo politico in disfacimento incapace di leggere la società in trasformazione, frastornato dall'eco mondiale della rivoluzione bolscevica e dalla suggestione contagiosa che il mito della Russia irradiava da San Pietroburgo. Lo Stato liberale italiano sembrava esausto e non lo sapeva, incapace di fronteggiare i nuovi fenomeni sociali e politici, come se non rientrassero più dentro le sue categorie antiche. Il re è solo. Tocca a lui riempire la scena istituzionale, Capo per grazia di Dio e volontà della nazione di uno Stato che si frantuma venendo meno ai suoi impegni costituzionali, e giorno dopo giorno si arrende alla furia fascista che lo incalza per soppiantarlo. Ezio Mauro racconta l'anno decisivo della frattura tra due epoche: dopo la guerra, davanti al potere declinante delle dinastie, c'è in Italia l'impeto crescente, violento, del nuovo movimento fascista. È già un potere?
«Chi ha visto le interminabili sfilate in parata delle camicie nere, dei giovani, dei contadini, degli operai, degli atleti, dei preti, delle monache, delle madri prolifiche, chi ha assistito alle cerimonie nelle quali le più alte cariche dello Stato facevano atto di devozione al regime, ed alle dimostrazioni oceaniche nelle maggiori piazze d'Italia, alle folle deliranti per il duce, può intendere quali sentimenti dovesse vincere chi continuava la lotta anche dopo superata la crisi per l'assassinio Matteotti: aveva veramente l'impressione di muovere all'assalto del Monte Bianco armato solo di uno stuzzicadenti» Ernesto Rossi Stretti nella morsa fra repressione e consenso, i reduci dei partiti messi al bando e gli oppositori militanti del fascismo, ma anche coloro che erano semplicemente scettici, poco allineati o scontenti furono emarginati, incarcerati, inviati al confino, costretti all'emigrazione e sottoposti al controllo occhiuto della famigerata Ovra. Gli spazi per esprimere dissenso - con scioperi, proteste o in forme non organizzate e in ambito privato - erano limitati ed era rischiosissimo lasciarsi sfuggire anche solo una battuta di spirito, a causa delle spie e delle delazioni. A partire dai rapporti delle prefetture, delle questure e dei carabinieri, le relazioni della censura, del Pnf e dell'Ovra, i giornali, i diari e le lettere dell'epoca, gli autori ricostruiscono le storie di una minoranza di italiani che, all'indomani del delitto Matteotti e fino alla caduta del regime, continuò a esercitare il dissenso.
Ancora un decennio fa nessuno avrebbe immaginato che la polarizzazione tra la Russia - e più in generale l'Asia - e l'Unione europea e gli Stati Uniti si sarebbe concretizzata lungo l'antica faglia, quasi dimenticata, che delimitava le due tradizioni europee, quella latina occidentale e quella post-bizantina. Invece oggi, ancora una volta, la storia è richiamata e usata a fini geopolitici: ma come si giunge ai confini tra Est e Ovest? E quanto continuano a ridefinirsi e a riposizionarsi? Cosa è accaduto e continua ad accadere agli stati che si trovano sulle linee di frattura che dal Baltico attraversano l'Ucraina e arrivano fin dentro i Balcani? Non possiamo più permetterci di distogliere lo sguardo dalle cesure della storia. Il confine dentro l'Europa è come una faglia che attraversa e condiziona la nostra storia, in una continua ridefinizione della quale ci accorgiamo solo nei momenti di crisi.
Il libro racconta la "battaglia per le coscienze" tra la Chiesa cattolica e il fascismo negli anni 1924-1938, con il confronto tra due modelli educativi alternativi: quello cattolico, che Pio XI rivendicava essere preminente, difendendo il ruolo educativo dell'Azione cattolica; quello fascista, teso a inquadrare gli italiani nelle organizzazioni del regime e a farne dei "credenti", devoti al culto del littorio. La Chiesa e il fascismo, entrambi impegnati nel tentativo di egemonizzare la vita italiana, coabitarono e collaborarono, in una sorta di pace armata, mentre ciascuno tentava di assorbire l'interlocutore nel proprio primato ideologico: la Chiesa cercò di cattolicizzare il fascismo; Mussolini, che giunse a definirsi "cattolico e anticristiano", delineò un'ideologia che valorizzava il cattolicesimo in senso identitario, culturale e nazionale, per cercare di inglobarlo nella visione fascista dell'Italia e del suo ruolo nel mondo. Con l'avvicinamento ideologico al nazismo e con la svolta razzista del 1938 caddero le illusioni del mondo cattolico italiano di poter cattolicizzare il fascismo, mentre Mussolini decise di "tirare dritto" sul razzismo, ignorando le proteste di Pio XI. Erano i primi segnali di uno scontro ben più drammatico che si sarebbe aperto in Europa tra lo Stato razziale e l'universalismo cristiano.
Populismo, polarizzazione, post-verità. Tendenze, tecnologie e comportamenti vecchi come il tempo. Ma i tiranni di oggi li combinano in un modo nuovo. Minacciano la vita democratica con strategie finora impensabili e lo fanno, in gran parte, in modo occulto. Il potere non è cambiato. Ma gli strumenti con cui viene conquistato ed esercitato sì. Questo libro racconta gli autocrati delle tre "P", raccoglie personaggi terribili e affascinanti, storie travolgenti di presa e di perdita del potere, esempi vividi delle tattiche e dei trucchi usati da certi leader per contrastare le forze che minacciano la loro autorità. Moisés Naím rintraccia i nessi meno ovvi tra gli eventi globali e le strategie politiche che, se presi insieme, mostrano una profonda e spesso furtiva trasformazione del potere e della politica in tutto il mondo. C'è una nuova guerra ideologica, in cui il potere politico tende a diventare assoluto fino a rendersi invisibile e quindi incontestabile. Dunque è vero che la politica, per continuare a esistere, ha bisogno di essere sempre meno democratica e sempre più autocratica? Perché il potere si sta concentrando in alcuni luoghi mentre in altri si sta frammentando e degradando? E, infine, la grande domanda: la libertà ha un futuro? Naím rivela come, guardando bene, le strategie per consolidare il potere siano le stesse anche in luoghi con circostanze politiche, economiche e sociali molto diverse, e offre idee e intuizioni su cosa possiamo fare per difendere la libertà e la democrazia. Una storia di manipolazione e di conquista che ha per protagonisti Putin, Trump, Orbán, Duterte, Erdo?an, Berlusconi e molti altri. La fine della storia e la vittoria del liberalismo occidentale sono acqua passata. Questo è il tempo della rinascita dei tiranni.
I conflitti nazionali e internazionali ci espongono, impreparati, a un trittico di crisi incombenti: le emergenze sanitarie globali, un cambiamento climatico devastante e la rivoluzione dell'intelligenza artificiale. Gli americani non riescono a mettersi d'accordo tra loro su nessuna questione politica rilevante, i leader statunitensi e cinesi si comportano come se fossero intrappolati in una nuova Guerra fredda e gli eserciti sono tornati a scontrarsi in Europa. Stiamo così sprecando l'opportunità di fronteggiare le sfide a cui presto nessuno potrà più sfuggire. Nei prossimi anni l'umanità dovrà combattere virus più letali e contagiosi del Covid. L'intensificarsi del cambiamento climatico metterà in fuga decine di milioni di rifugiati e ci costringerà a ripensare i nostri stili di vita. La sfida più pericolosa sarà però quella delle nuove tecnologie, che riplasmeranno l'ordine geopolitico destabilizzando la società più velocemente della nostra capacità di reazione. La buona notizia? Alcuni leader politici, decisori aziendali e cittadini lungimiranti stanno unendo le forze per affrontare queste crisi. La domanda è se riusciranno a lavorare abbastanza bene e velocemente per contenerne le ricadute e, soprattutto, se sapremo usare queste crisi per reinventare il nostro cammino verso un mondo migliore. Tracciando paralleli con strategie di ieri e di oggi, dal Piano Marshall al Green New Deal, Bremmer indica un piano d'azione per sopravvivere e prosperare anche nel XXI secolo.
«Cent'anni fa, in questi stessi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Un uomo capace di tutto; persino di far chiudere e morire in manicomio il proprio figlio, e la donna che l'aveva messo al mondo». Comincia così il racconto di Aldo Cazzullo su Mussolini. Una figura di cui la maggioranza degli italiani si è fatta un'idea sbagliata: uno statista che fino al '38 le aveva azzeccate quasi tutte; peccato l'alleanza con Hitler, le leggi razziali, la guerra. Cazzullo ricorda che prima del '38 Mussolini aveva provocato la morte dei principali oppositori: Matteotti, Gobetti, Gramsci, Amendola, don Minzoni, Carlo e Nello Rosselli. Aveva conquistato il potere con la violenza - non solo manganelli e olio di ricino ma bombe e mitragliatrici -, facendo centinaia di vittime. Fin dal 1922 si era preso la rivincita sulle città che gli avevano resistito, con avversari gettati dalle finestre di San Lorenzo a Roma, o legati ai camion e trascinati nelle vie di Torino. Aveva imposto una cappa di piombo: Tribunale speciale, polizia segreta, confino, tassa sul celibato, esclusione delle donne da molti posti di lavoro. Aveva commesso crimini in Libia - 40 mila morti tra i civili -, in Etiopia - dall'iprite al massacro dei monaci cristiani -, in Spagna. Aveva usato gli italiani come cavie per cure sbagliate contro la malaria e per vaccini letali. Era stato crudele con tanti: a cominciare da Ida Dalser e dal loro figlio Benitino. La guerra non fu un impazzimento del Duce, ma lo sbocco logico del fascismo, che sostiene la sopraffazione di uno Stato sull'altro e di una razza sull'altra. Idee che purtroppo non sono morte con Mussolini. Anche se Cazzullo demolisce un altro luogo comune: non è vero che tutti gli italiani sono stati fascisti. E l'antifascismo dovrebbe essere un valore comune a tutti i partiti e a tutti gli italiani.
Il 3 maggio 1938, nella nuova stazione Ostiense, Mussolini insieme a Vittorio Emanuele III e al ministro degli esteri Ciano attende il convoglio con il quale Hitler e i suoi gerarchi scendono in Italia per una visita che toccherà Roma, Napoli e Firenze. Da poche settimane Hitler ha proclamato l'Anschluss dell'Austria e Mussolini, dopo aver deciso l'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni, si appresta a promulgare una legislazione razziale di inaudita durezza. Eppure sono ancora molti a sperare che il delirio di potenza dei due capi di Stato possa fermarsi: tra loro Ranuccio Bianchi Bandinelli, l'archeologo incaricato di guidare il Führer tra le rovine della città eterna; Renzo Ravenna, decorato nella Grande guerra, fascista zelante e podestà di Ferrara, che al pari di migliaia di altri ebrei italiani non si dà pace per i provvedimenti che lo pongono ai margini della vita civile; Margherita Sarfatti, che sino all'ultimo spera in uno spostamento degli equilibri verso l'asse anglofrancese ma deve cedere il passo alla giovane Claretta Petacci e fuggire; e lo stesso Ciano, distratto da tresche sentimentali e politiche insensate come il piano di conquista dell'Albania, che solo un anno dopo, nel maggio 1939, si trova a siglare insieme a Ribbentrop il Patto d'Acciaio con il quale "l'Italia e la Germania intendono, in mezzo a un mondo inquieto e in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea". Antonio Scurati ricostruisce con febbrile precisione lo spaventoso delirio di Mussolini, pateticamente illuso di poter influenzare le decisioni del Fu?hrer, consapevole dell'impreparazione italiana, più che mai solo fino alla sera del giugno 1940 in cui dal balcone di Palazzo Venezia proclama "l'ora delle decisioni irrevocabili". In questo nuovo pannello del suo grande progetto letterario e civile, Scurati inquadra il fatale triennio 1938-40, culmine dell'autoinganno dell'Italia fascista, che si piega all'infamia delle leggi razziali e dell'alleanza con la Germania nazista, e ripercorre gli ultimi giorni di un'Europa squassata da atti di barbara prevaricazione e incapace di sottrarsi al maleficio dei totalitarismi: un romanzo tragico e potente, carico di moniti per il nostro futuro.
Le cospirazioni e le società segrete esistono perché l'uomo, ferito dal peccato originale, è inclinato al male e la sua natura sociale lo spinge a unirsi ad altri uomini per realizzare fini malvagi. Roberto de Mattei, con il rigore storico che gli è proprio, ci propone una guida, più che informativa, criteriologica, per orientarsi in questo tenebroso labirinto del male, tra congiure, cospirazioni e complotti, termini che sono spesso usati come sinonimi ma che, attraverso la loro differenza semantica e concettuale, possono aiutarci a comprendere meglio la dimensione occulta della storia degli ultimi cinque secoli. Se le congiure sono accordi segreti, limitati a poche persone e diretti a sopprimere un sovrano o un uomo politico, per ragioni spesso di potere, le cospirazioni sono progetti più ampi che si propongono di rovesciare un ordine costituito. L'epoca d'oro delle congiure e degli assassini politici va dai veleni del Rinascimento al Settecento. Con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese si apre un'epoca in cui, accanto alle tradizionali congiure, si sviluppano le cospirazioni di carattere ideologico e politico. Il complotto è invece un aggregato inafferrabile e oscuro, di cui non sono svelate né le identità degli attori né le concrete modalità operative. Il neo-complottismo contemporaneo - dalla cospirazione dell'Acquario ai rettiliani, al Grande Reset, fino al virus pandemico - non ha nulla a che fare con lo studio delle società segrete anticristiane che ha sempre fatto parte della storiografia e dell'apologetica cattolica, ma fa il gioco di tutti coloro che hanno interesse alla destabilizzazione psicologica, intellettuale e morale dell'Occidente.
«I fascisti erano ossessionati dal potere, e dalla possibilità di redimere la nazione e di trasformare gli italiani, anche a costo di eliminare tutti quelli che non erano d'accordo con loro. [...] Le armi non sarebbero state deposte, fino al compimento di questa missione.» L'ascesa al potere del fascismo e il suo atto culminante, la cosiddetta marcia su Roma, possono essere capiti solo all'interno di un quadro più vasto, quello di un'Europa incapace di chiudere i conti con la Grande guerra. E se furono soprattutto i paesi sconfitti a scoprire che uscire dalla cultura dell'odio e della violenza quotidiana non era facile, frustrazione, scontento e desiderio di rivalsa si impossessarono anche degli italiani che pure - almeno formalmente - la guerra l'avevano vinta. Marco Mondini compone la storia corale e implacabile di un'Italia in cui la lotta politica si trasforma in guerra civile e che scivola via via verso il lungo ventennio della dittatura fascista.
Nella sterminata produzione di libri su Roma, sulle sue vicende, il suo paesaggio, i suoi abitanti questo volume, che accompagna il lettore lungo tremila anni di storia urbana, inserisce un'ottica finora mai tentata: quella della tridimensionalità. Attraverso una visione archeologica della stratificazione urbana e delle modalità di accrescimento del suolo, l'autore propone una risposta originale a una domanda apparentemente insensata: quante Rome si sono succedute nel corso dei secoli? In quale città viviamo oggi quando percorriamo le vie del centro storico più vasto d'Italia? Roma infatti è certamente una ma al tempo stesso è plurale per la complessità delle sue vicende istituzionali e urbanistiche, che ne hanno via via mutato la dimensione e il volto dal solco di Romolo alla metropoli odierna. La prospettiva aperta in queste pagine individua una cerniera nella sua vita millenaria, una "morte" e una "rinascita", stimolando riflessioni nuove sul tema antico del rapporto fra passato e presente nella città contemporanea.