"La guerra, pur essendo matrice riconosciuta del peggior male possibile, è tuttavia stata ed è tuttora il motore o volano di ricerche, sperimentazioni, applicazioni e pratiche medico-sanitarie che, trasferite dal campo militare a quello civile, hanno avuto ricadute vantaggiose anche in quest'ultimo campo, contribuendo spesso in modo determinante allo sviluppo e al progresso della medicina e della sanità": è la tesi di Giorgio Cosmacini, argomentata alla luce di un excursus storico-filosofico dagli antichi greci ai giorni nostri. Dal mondo romano, che ha creato un abbozzo di organizzazione medica con una specie di infermeria creata prima per l'assistenza ai legionari feriti e poi adibita alla cura dei traumi del lavoro agricolo ed edile, al Medioevo e Rinascimento in cui i chirurghi di guerra hanno fatto conquiste poi largamente utilizzate in tempi di pace; dall'invenzione del 'pronto soccorso' da parte della sanità militare napoleonica alla fondazione dell'attività professionale infermieristica durante la guerra di Crimea; dall'idea di Croce Rossa Internazionale concepita all'indomani della battaglia di Solferino all'estensione dell'antisepsi, nella prima guerra mondiale: il rapporto tra guerra e medicina è un rapporto bi-direzionale, a sfavore e a favore. Per un verso la guerra è l'infausta matrice di traumi e malattie che richiedono una vastità d'interventi riparatori, esigenti a loro volta un'altrettanto vasta organizzazione sanitaria.
"Questo libro nasce dall'esigenza di raccontare la storia di un gruppo di uomini che alla fine del 1564 tentarono di assassinare il papa. Il mio intento è quello di dare loro carne e ossa, rendendone meno astratte le fisionomie: non solo le loro, ma anche quella della città fisica - la Roma di metà Cinquecento - sullo sfondo della quale si muovevano come attori, proferivano discorsi, si arrabattavano per vivere. Una storia di individui, di luoghi e di cose, insomma, attraverso la quale volevo capire cosa significasse, per questi uomini del Cinquecento, uccidere il papa". La congiura fallisce, gli uomini sono processati, torturati e infine condannati a una morte atroce. Sullo sfondo c'è Roma. Non la Roma sancta et renovata capitale della Controriforma, ma la città fisica in trasformazione che si sviluppa disordinatamente sui resti di quella antica; la città magica e superstiziosa popolata da frati esorcisti, astrologi e cercatori di tesori; la città dove, nei palazzi cardinalizi e nelle piazze, si parla del papa con allarmante irriverenza. La capitale di un sovrano, insomma, che in età postridentina è ancora lontano dell'assumere i caratteri sacrali spettanti a un monarca assoluto, e al tempo stesso è vicario di Cristo sulla terra. La congiura contro Pio IV può sembrare un'impresa sgangherata, poco più che il tentativo velleitario di un gruppo di folli esaltati. In realtà quel papa, il cui pontificato dura dal 1560 al 1565, è un papa scomodo...
"Non ci sono più le famiglie di una volta"; "Stiamo diventando sempre più vecchi: ci aspetta un futuro di povertà"; "Gli italiani non vogliono più avere bambini"; "L'unico investimento sicuro è il mattone"; "Nel nostro paese ci sono troppi immigrati": sono alcuni dei luoghi comuni che ascoltiamo ogni giorno. Luoghi comuni basati su paure e incertezze per le possibili conseguenze di alc cambiamenti della nostra società, fra cui la sempre maggiore longevità e l'aumento delle migrazioni globali. Nel clima di vera e propria rivoluzione demografica che sta toccando tutti i momenti cardine della vita degli italiani, la prima sfida che bisogna affrontare è alle mentalità individuali. Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber smontano pregiudizi e descrizioni sommarie per comprendere cosa sta veramente accadendo nel nostro paese e restituire un'immagine dell'Italia fondata su numeri e dati reali perché "il senso comune si nutre di miti, il buon senso di fatti".
"Mettiti nei miei panni!". Quante volte ce lo siamo sentito dire; quante volte noi stessi lo abbiamo preteso dagli altri. Quante volte ci è sembrato di riuscirci; quante volte abbiamo dovuto riconoscere che non ce la si fa. 'Empatia' è una parola per questo sforzo, per questo desiderio, per questo bisogno. Una parola che da nome a un problema: come faccio a sentire quel che senti tu? Come posso immedesimarmi, io che non sono te, nei tuoi vissuti, nella tua vita? È possibile che io vi riesca, e che mi apra così all'altro, che a sua volta si apre a me? O sono invece destinato a rimanere rinchiuso in me stesso come in una bolla impermeabile? Questo libro racconta la storia, complessa e affascinante, di una questione che ricorre in campi disciplinari differenti: dalla filosofia alla psicologia e alla psicoanalisi, dall'antropologia alla storiografia, dall'estetica all'etica, dagli studi culturali e di genere alle neuroscienze. Andrea Pinotti, con un linguaggio accessibile al lettore non specialista, stila una mappa esaustiva dei territori del sapere in cui è implicato il problema della relazione con l'altro da sé. Relazione che non riguarda solo gli esseri umani ma anche il mondo degli animali e delle cose: che non sono mai cose e basta, ma hanno un carattere, un'anima propria, che entra in consonanza o dissonanza con noi. Stare dunque insieme con gli altri e con le cose: questo libro non ci insegna come dobbiamo farlo, ma ci aiuta a comprendere come lo facciamo.
Il testo affronta i problemi dell'organizzazione, dell'azione organizzata, delle relazioni tra organizzazioni, con l'obiettivo principale di fornire al lettore strumenti di analisi relativamente semplici, che gli permettano di capire meglio non solo le organizzazioni propriamente dette, ma anche gli aspetti organizzativi degli ambiti più vari della vita sociale. È in questa prospettiva che il volume introduce agli autori, specialmente i classici, e indica i temi importanti presenti in ogni manuale o trattato (organizzazione come sistema, struttura organizzativa, cultura organizzativa, potere, cambiamento) e quelli - come le reti organizzative - di più recente acquisizione.
«Abbiamo bisogno di un'alleanza, o di una grande sinergia, per affrontare la nostra crisi demografica. Per essere efficace, questa sinergia deve rendere consapevoli e coinvolgere ciascuna delle componenti della nostra società, arrivando fino alle persone e alle famiglie. Solo così sarà possibile far entrare, finalmente e sul serio, la questione demografica nell'agenda politica. Lo scopo di questo Rapporto-proposta, al quale hanno lavorato alcuni dei maggiori demografi italiani di varie matrici culturali insieme a studiosi di altre discipline, è far penetrare nell'intero corpo sociale la consapevolezza della sfida demografica con cui l'Italia deve inevitabilmente misurarsi».
Camillo Ruini
«Oltre 60 milioni di persone, di cui una ogni 13 proviene da altri paesi. I meno che ventenni sono via via scesi fino a uno ogni cinque residenti e sono pressoché pari al numero degli ultrasessantacinquenni, mentre gli ultranovantenni hanno quasi raggiunto il mezzo milione di unità. Un paese in cui la frequenza di nascite si colloca stabilmente sotto le 600mila unità annue, ossia circa 150mila in meno di quante sarebbero necessarie. Il tutto mentre la durata media della vita ha superato gli 80 anni, la mortalità infantile ha raggiunto livelli minimi quasi fisiologici e la fecondità si è attestata attorno alla media di 1,4 figli per donna. È questa, in estrema sintesi, la fotografia demografica dell'Italia dei nostri giorni. È una realtà sulla quale sembra doveroso interrogarci per capire quali siano i nodi problematici e, soprattutto, quali siano le sfide che ci attendono nel futuro».
Il primo dei quattro volumi dell'"Atlante del Ventesimo secolo" copre l'arco temporale che va dal 1900 al 1918: avvenimenti centrali sono la prima guerra mondiale, alla quale sono dedicati una decina di documenti, e la rivoluzione russa. Due vicende che si collocano alla fine del periodo e che, per il loro esito, avranno grande influenza sugli anni successivi. Con la guerra gli Stati Uniti entrano prepotentemente sulla scena mondiale mentre la rivoluzione bolscevica determina la nascita dell'altro grande protagonista della storia politica di tutto il secolo. La conflittualità interna all'Italia è largamente documentata, con una particolare attenzione alle lotte sociali, all'emergere del nazionalismo, alla scelta di Mussolini per l'intervento e all'ingresso del paese in una guerra che vide il rischio di una drammatica sconfitta prima di concludersi con una decisiva vittoria.
Alla domanda di base "che cosa intendiamo per retorica?" Bice Mortara Garavelli risponde distinguendo due aspetti fondamentali: la facoltà di sviluppare un ragionamento atto a persuadere chi ascolta o legge, di esprimersi in modo efficace, appropriato alla situazione; e l'elaborazione concettuale di principi e mezzi per attuare al meglio le facoltà naturali del comunicare: cioè l'insieme delle dottrine, delle tecniche e delle precettistiche frutto di riflessioni e di tradizioni secolari. Questa Prima lezione mette in evidenza, con chiarezza e brevità, alcune tappe salienti nello sviluppo plurisecolare della disciplina e si concentra poi prevalentemente sulle caratteristiche dottrinali e pratiche dei diversi sistemi: a cominciare dal sistema classico, su cui si sono modellate importanti applicazioni, fino alle innovazioni apportate dalle 'Nuove retoriche'. I capitoli conclusivi sono dedicati alla presentazione di pagine esemplari, che mostrano come la retorica si sia incarnata in stili e in campi del sapere differenti. Nella scelta dei testi esemplari, l'autrice ha scelto uno stile chiaro e divulgativo, senza tecnicismi inutili e con spiegazioni elementari ove fosse necessario introdurre nozioni specialistiche.
Poco più di settant'anni del IV secolo dopo Cristo condizionano tutta la storia dell'Occidente. Sono infatti poco più di settant'anni quelli che passano dall'editto di Costantino, nel 313 - che concede ai cristiani fino ad allora martiri e perseguitati la libertà di culto - al 380, quando Teodosio dichiara il cristianesimo unica religione ufficiale dell'impero romano e da avvio alla persecuzione delle altre religioni, fino ad allora tutte liberamente praticate a Roma. La croce, da simbolo dell'umiliazione del Cristo e della sua morte redentrice, si trasforma in settant'anni in una potente immagine politica di potere e vittoria: come è stato possibile questo cambiamento? perché e come la croce, simbolo di sofferenza e martirio, è potuta diventare il simbolo stesso del potere? in che modo e per quali ragioni questo segno di un potere trascendente, di un Regno che non è di questo mondo, ha finito per intrecciare il suo destino con le potenze politiche, diventando invece un segno della conquista di corpi e di anime? Giovanni Filoramo racconta la storia di come i cristiani da martiri siano divenuti persecutori. Una storia di contrasti sempre più violenti tra i seguaci dei culti pagani e i cristiani, di divisioni interne tra le varie sette cristiane in Medio Oriente, in Europa e in Africa, di relazioni sempre più strette tra capi religiosi e capi del potere politico. Fino a quando la Chiesa cattolica diviene essa stessa strumento del potere e fattore di ordine istituzionale.
L'informazione nell'era di internet e dei social network, fra tv satellitari e giornalismo online, sta modificando anche la politica fra gli stati. Cosa accade al giornalismo professionale quando Cnn, Al Jazeera e BBC possono coprire alcune crisi internazionali solo attraverso il contributo - messaggi, fotografie e video - di comuni cittadini? Cosa accade alla diplomazia quando ministri e capi di stato aprono account Twitter e Facebook, ma soprattutto quando le loro pagine sono meno seguite di quelle di un blogger egiziano? Cosa accade alla politica internazionale - e alla sua narrazione - quando nel variegato sottobosco degli attori non governativi compaiono organizzazioni come Wikileaks in grado di sfidare il paradigma della segretezza nella relazione tra gli stati? Augusto Valeriani spiega e ricostruisce questo nuovo contesto comunicativo internazionale attraverso numerosi esempi e attraverso le parole di reporter, funzionari diplomatici e uomini delle Ong che si trovano di fronte nuove figure 'non professionali' con cui non è più possibile non interloquire: semplici cittadini, 'dilettanti', capaci - grazie all'ambiente comunicativo del web 2.0 - di partecipare alla definizione del 'lessico' e della 'grammatica' della politica internazionale. Una realtà che determina inevitabilmente la nascita di rapporti di competizione, ma anche di insospettabili collaborazioni: nella nuova sfera pubblica internazionale nessuno può più fare da sé.