Il termine "populismo", nella sua accezione moderna, nasce poco più di un secolo fa con l'americano People's Party, il "Partito del Popolo". Ma la "tesi" populista è di gran lunga più antica e la si ritrova, in coda alla Rivoluzione francese, nelle ricette reazionarie della destra portavoce della nobiltà e del clero. Da allora se ne sono registrate numerose varianti, accomunate da un elemento ricorrente: il tribalismo implicito dei contenuti. Nicolao Merker va alla ricerca degli "antenati" del populismo moderno, ne ripercorre i momenti salienti in Occidente e lo incontra nelle idee di insospettabili pensatori, filosofi e intellettuali, da Hegel a Heidegger, da Mazzini a Gioberti.
«La 'giustizia' complessiva realizzabile nel sistema costituzionale è il prodotto del massimo di integrazione possibile tra eguaglianza e libertà»: una concezione integrata dei due princìpi e non più una opposizione reciproca secondo la quale a più libertà corrisponderebbe meno eguaglianza e viceversa. Questa la nuova sfida che il costituzionalismo lancia ai detentori del potere.
Giuseppe Galasso evoca, nel quadro della grande storia europea e mediterranea, un'epoca cruciale per il Mezzogiorno, dalla divisione dell'Italia in aree longobarde e in aree bizantine alle pressioni e interferenze arabe, pontificie e germaniche fino alla grande storia della monarchia normanna e sveva. In un ampio affresco, la perenne dialettica tra logiche interne e chiusure o aperture, mediazioni o adattamenti all'esterno, iniziative e passività, successi e fallimenti mette in luce la cifra, la specificità e il ruolo storico del Mezzogiorno in quei secoli, e oltre.
"II dovere di un capitalista moderno è di assicurare al proprio Paese il massimo di occupazione compatibile con la competitività, nell'interesse dell'equilibrio dei conti economici nazionali e della bilancia commerciale. Di questi valori il capitalista deve sforzarsi di essere garante e queste sono le cose alle quali ho sempre cercato di essere fedele." Pungolato dalle domande di Arrigo Levi, Giovanni Agnelli esprime senza reticenze e senza cortine diplomatiche le sue idee sui temi fondamentali dell'industria, dell'economia, della finanza e della politica italiana. Ne emerge il ritratto di un grande imprenditore, colosso della vecchia guardia, che a soli venticinque anni e all'indomani della seconda guerra mondiale si è ritrovato catapultato ai vertici della Fiat e l'ha portata a diventare il primo gruppo industriale d'Italia. Il suo racconto ripercorre la storia dell'azienda - e più in generale dell'industrializzazione nel nostro Paese - dal boom del 1910-15 sino primi anni Ottanta, con l'introduzione pionieristica dei computer in fabbrica. Il risultato è un libro ancora oggi capace di affascinare il lettore, sia per l'eccezionalità del narratore (solitamente assai misurato nelle sue esternazioni pubbliche), sia per la rarità del punto di vista: Giovanni Agnelli ci apre uno spaccato della sua "fabbrica" dall'interno, dalla parte del vecchio padrone che si trasforma progressivamente in moderno imprenditore di respiro internazionale.
"Per vent'anni abbiamo vissuto sotto l'ala di un turbine: globalizzazione economica e trasformazione politica. Due metamorfosi insieme: post-industriale e post-democristiana. L'Italia di oggi ci restituisce per mille segni l'immagine di un Paese provato, che perde colpi di continuo. E soprattutto con un motore politico penosamente inadeguato, incapace di autentica innovazione, che non fa nulla se non pasticciando, e alla fine non sembra concepire altra missione tranne la pura conservazione di se stesso e del ceto che lo controlla. Ma altre volte siamo stati capaci di riagguantare all'ultimo istante il filo della nostra storia. La posta in gioco è troppo importante per rassegnarsi, e dopotutto siamo qualcosa di più di un piccolo angolo di mondo."
Settembre 1978. Il "Corriere della Sera" pubblica in prima pagina la lettera anonima di un cinquantenne che minaccia il suicidio perché la sua giovane amante, dopo anni di vita clandestina, ha deciso di lasciarlo per un matrimonio regolare. Per l'Italia di allora è una bomba: il privato per la prima volta irrompe sulla scena pubblica. Le tirature schizzano, il "Corriere" è bombardato di critiche, ma anche di consensi. Il "caso" dell'amore in prima pagina è il segno che il paese sta cambiando: dopo un anno tragico, gli italiani che sognavano la rivoluzione si accontentano di essere felici o, più modestamente, di divertirsi, di andare a ballare la sera. Il consumismo, nemico giurato del '68, sta per stravincere la partita. Nella tradizione del giornalismo investigativo di razza, e attraverso decine di testimonianze di giornalisti, intellettuali e artisti, Paolo Morando racconta un'epoca, rievoca storie e protagonisti, svela intrecci e retroscena mai venuti alla luce. E dimostra, documenti inediti alla mano, come la felice intuizione del "Corriere", allora già inquinato dalla P2, sia stata tutt'altro che casuale.
I diritti umani parlano agli Stati. Ma solo a essi? E non anche agli individui in quanto soggetti di diritto internazionale? E se i diritti umani si rivolgono anche agli individui, qual è il loro scopo? La tesi di questo libro è che i diritti umani sono strumenti di lotta contro tutto ciò che impedisce di decidere autonomamente del proprio destino. Prima però di poter parlare di un 'universalismo degli oppressi', occorre chiedersi: coloro che vivono in condizione di subalternità sono in grado di appropriarsene? E desiderano farlo?
Franklin Delano Roosevelt traghettò una nazione prostrata dalla crisi verso una ripresa economica, politica e sociale di così vasto respiro da durare per i trent'anni successivi. Grazie a lui gli Stati Uniti del dopoguerra poggiavano su forti valori democratici ed egualitari, incarnazione di una società di ceto medio dove il boom dei salari aveva elevato decine di milioni di americani dalla povertà a una vita agiata, livellando il reddito medio degli individui a scapito della concentrazione dei capitali. Poi le cose sono precipitate sempre più in fretta lungo un crinale scosceso fatto di crescenti disuguaglianze e di strisciante corruzione politica: "Durante gli anni Settanta, la destra radicale ha assunto il controllo del Partito repubblicano, incoraggiato le imprese a sferrare un attacco contro il movimento sindacale, ridotto drasticamente il potere contrattuale dei lavoratori, abbassato le aliquote fiscali applicate ai redditi elevati". I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti. Oggi, sostiene Krugman, il tempo è maturo per un'altra grande era di riforme, per un altro New Deal. Cosa dovrebbe fare la nuova maggioranza? Nell'interesse della nazione, dovrebbe attuare un programma imprescindibilmente progressista, che promuova l'espansione della rete di sicurezza sociale e riduca la disuguaglianza.
"Alla notizia della morte di Annibale, Scipione era stato colto da una sensazione presaga: non gli sarebbe sopravvissuto a lungo. Non gli era stato amico, il Cartaginese; era stato il più grande e il più nobile dei suoi nemici e le loro vite si erano intrecciate più e più volte, legate sempre con il filo doppio del destino, quasi che l'esistenza dell'uno traesse motivo e giustificazione da quella dell'altro." Scipione e Annibale: antagonisti, affini, speculari. Giovanni Brizzi racconta le loro vite tangenti in un saggio storico che ha il passo del romanzo.
Quanto tempo ho trascorso sui treni! E a fare cosa, poi? A spostarmi. Ma per spostarsi non serve la vita: basta la vicevita. Questa, perciò, è una vice-autobiografìa, dove il passato appare sub specie ferroviaria.