Pietro Bembo è una figura poliedrica nell'Italia del Rinascimento. Veneziano di nascita, padovano di elezione, di casa nella Roma dei Papi, egli fu molte cose insieme, e tutte al massimo grado. Fu poeta, storiografo e bibliotecario della Repubblica veneta, e il letterato che influenzò in modo determinante la letteratura rinascimentale. Con Aldo Manuzio rivoluzionò il concetto di libro, curando volumi di classici di piccolo formato privi di commento, che potessero essere letti al di fuori delle aule universitarie. Amò donne bellissime come Lucrezia Borgia, e cantò l'amore, non solo platonico, negli "Asolani" e nei "Motti". A sessantanove anni fu nominato cardinale da Papa Paolo III, e pose le basi per la leggendaria Biblioteca Vaticana. Oltre che di Raffaello e Michelangelo fu amico, guida e protettore di artisti come Giovanni Bellini, Sansovino, Sebastiano Dal Piombo, Tiziano, Benvenuto Cellini, Valerio Belli, di cui collezionò e spesso ispirò le opere.
Il problema di chi entra in politica è la definizione della propria identità. Nel pensiero di Mario Monti è presente una singolare rappresentazione, per cui sarebbe preferibile se le forze politiche si allineassero secondo la loro maggiore o minore propensione alle riforme piuttosto che sull'asse tradizionale destra-sinistra. Di questa semplificazione il Professore si serve per far coincidere la difesa delle azioni del suo governo passato con l'adozione dell'"agenda Monti", il programma della sua coalizione. Ma se un programma lo può scrivere chiunque, l'identità politica, in base a cui si formano le volontà dei cittadini, non si può improvvisare. Franco Debenedetti individua nel proposito di Monti di cambiare radicalmente il discorso politico in Italia il suo vero Peccato Capitale, e lo mette a nudo in questo libro. Per comprendere la radice ideologica di questo peccato l'autore ripercorre la vita e le opere di Monti e del suo governo nel 2011-2012 in relazione a fenomeni più complessi e alle loro radici storiche: l'Europa, origine e fine del governo Monti; l'ambivalenza che noi europei sentiamo tra libertà e giustizia, tra democrazia e vita morale; la contrapposizione tra euroentusiasti ed euroscettici, i quali, con grossolana approssimazione, vengono fatti coincidere con i sostenitori e gli avversari del governo Monti; una ricostruzione inedita del vertice di Bruxelles di giugno 2012, l'episodio più significativo di politica europea del governo Monti.
Lo strapotere dell'economia di mercato - sostiene Alberto Mingardi - è solo apparente. In realtà nelle nostre vite c'è ancora troppo Stato e troppo poca concorrenza. La crisi di questi anni testimonia proprio l'inevitabile epilogo di una storia fatta di dirigismo e continui interventi che turbano quell'infinita ragnatela di liberi scambi fra persone che è il mercato. Questo libro giunge a smentire i pregiudizi e a rompere gli indugi presentandoci il mercato come non l'abbiamo mai visto: l'esito, ovviamente sempre imperfetto, della libera interazione di milioni di individui, la sorgente ultima di ogni innovazione, l'unica palestra possibile per la libertà degli esseri umani. In quest'ottica se ne descrivono i protagonisti, ciascuno con le proprie peculiarità, si evidenziano gli errori concettuali e i pericoli di regolamentazioni asfissianti. Ostacolare o limitare la libertà del mercato significa togliere alle persone la possibilità di manifestare la loro libertà di farsi scegliere e ha un costo implicito: sono i prodotti e i servizi che non potremo sperimentare, che a nostra volta non ci sarà dato di poter scegliere. Lasciare spazio all'imprevisto, invece, rende. Per questo - dice Mingardi - "varrebbe la pena di rinunciare alle spiegazioni semplificanti, al divorante bisogno di un ordine sovrimposto che abbia il pregio di risultarci immediatamente chiaro sulla carta. La chiarezza del progetto non garantisce la bellezza dell'esito".
Chiedete a un uomo qualunque il segreto del suo successo. Molto probabilmente vi risponderà: quale successo? Non l'avvocato Giuseppe Ilario Sobreroni. Nessuna crisi, nessuna precarietà per lui, Giuseppe ce l'ha fatta: ha una famiglia ideale, un solido conto in banca, una carriera in ascesa. Ma proprio quando un'intervista in uscita sulla principale rivista di settore e l'invito al più esclusivo dei ricevimenti sono lì a decretare il suo trionfo, quel mondo così perfetto mostra tutte le sue crepe e, pezzo dopo pezzo, comincia a franare. Sprezzante e narcisista, Giuseppe non ha intenzione di rinunciare alla sua fetta di paradiso. A volte però, tenersi stretto il proprio posto sulla vetta può richiedere molto più di un po' di ambizione c qualche riga sul curriculum. In una Milano canicolare, popolata da un'umanità alla ricerca disperata di un modo per stare a galla o quantomeno di un parcheggio vicino al ristorante. Federico Baccomo allestisce una commedia caustica per raccontare con spietata ironia il ghigno di un uomo che, pagina dopo pagina, ha sempre meno motivi per ridere.
"Le malattie", scriveva Gina Lagorio, "sono più intelligenti di noi, trovano la risposta dei nostri problemi prima della ragione". Il cancro è la malattia più intelligente di tutte e scriverne vuol dire confrontarsi inevitabilmente con le fragilità dell'uomo, con la sua più grande imperfezione di fronte a un Male astuto, capace di resuscitare ogni volta. Nonostante il Novecento lo abbia definito "il Male del secolo", il cancro accompagna da sempre il cammino dell'umanità e l'uomo lo ha temuto e combattuto con strumenti via via più raffinati. Questo libro ci conduce alla ricerca del cancro nei suoi segni più lontani, per delineare, partendo dalla realtà geografica, una sorta di atlante storico della presenza della malattia, dei tentativi di "stanarla", del grado di consapevolezza nel corso del tempo, degli sforzi per cercare cure credibili risorgendo da continue sconfitte. Il racconto di quest'avventura umana e scientifica - sapientemente condotto evocando atmosfere, episodi, sogni parte dalla preistoria e si addentra di volta in volta nel trascendente, nella magia, nella superstizione, per poi incontrare il metodo cartesiano e una medicina in grado di affrontare con strumenti tecnici adeguati una lotta spesso impari. Sullo sfondo una proposta: la definizione di una nuova disciplina, "archeologia medica", in cui gli apporti della cultura scientifica, umanistica, cibernetica, sociale, religiosa convergano per leggere i segni del passato. Prefazione di Cesare De Nichelis.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1943, Primo Levi venne arrestato, in località Amay (Valle d'Aosta), durante un rastrellamento della milizia fascista contro i partigiani. Con lui saranno arrestati Luciana Nissim e Vanda Maestro, Aldo Piacenza e Guido Bachi che, da qualche settimana, hanno dato vita a una banda di ribelli affigliata a Giustizia e Libertà. Nonostante questo episodio dia inizio a tutto il suo calvario di ebreo deportato ad Auschwitz, Primo Levi parlerà assai poco e saltuariamente della sua permanenza in montagna tra i partigiani. Anzi arriverà a definirlo "il periodo più opaco" della sua carriera. "È una storia di giovani bene intenzionati ma sprovveduti - scriverà - e sciocchi, e sta bene tra le cose dimenticate". Qual è la causa di un giudizio così severo? L'esecuzione sommaria all'interno della banda di due giovani che con le loro azioni minacciavano la sicurezza e la vita stessa del gruppo partigiano può sicuramente aver contribuito. E tuttavia, la ricostruzione puntuale e documentata delle settimane che videro Levi passare dalla scelta antifascista alla lotta partigiana, apre altri scenari, suggerendo un legame di continuità tra la vita partigiana e la lotta per la sopravvivenza ad Auschwitz.
Dopo tre anni trascorsi a Washington, Annika Bengtzon è da poco rientrata alla redazione di Stoccolma della Stampa della sera, pronta ad affrontare una nuova inchiesta: in un sobborgo della capitale, sotto un mucchio di neve nei pressi di una scuola materna, è stato ritrovato il corpo di una donna, l'ennesima giovane madre accoltellata alle spalle. La quarta vittima in poco tempo. Mentre Annika è assorbita dalle indagini su quello che ormai gli organi d'informazione hanno deciso essere un serial killer, Thomas, il marito ritrovato ora funzionario al ministero della Giustizia, è a Nairobi per partecipare a un convegno sulla sicurezza internazionale. Un viaggio intrapreso quasi per noia che si trasformerà nel peggiore degli incubi. L'intera delegazione di cui Thomas fa parte viene sequestrata al confine tra Kenya e Somalia, i rapitori esigono un riscatto irragionevole e impossibile da esaudire. Per Annika, comincia un periodo di trattative estenuanti e, sembrerebbe, senza speranza: nessun governo europeo ha intenzione di cedere alle folli richieste avanzate da un gruppo di ribelli dell'Africa Orientale, così gli ostaggi cominciano a cadere, giustiziati, uno dopo l'altro. Reporter professionista come l'eroina della sua serie, Liza Marklund conosce molto bene il mondo dei media, troppo spesso a caccia d'intrattenimento più che d'informazione, e i meccanismi usati per distorcere la realtà a proprio uso e consumo, e lo restituisce con competenza e realismo.
"I notiziari, se da una parte evidenziano la lontananza tra il luogo in cui si svolgono gli eventi e quello in cui ci si trova, dall'altra riportano alla memoria sensazioni simili già vissute. Così, quando, nel dicembre 2010, vidi le immagini delle prime sommosse tunisine, ebbi la sensazione di tornare al periodo della mia infanzia in Algeria. Mi venne in mente, in particolare, il periodo del maggio 1968". Parte dai suoi ricordi personali, Khaled Fouad Allam, per costruire una lettura comparativa delle contestazioni e dei rivolgimenti che abbiamo imparato a conoscere con il nome di "Primavera araba". Sono molte le domande che Allam si pone nel corso di questo libro e che configurano un approccio del tutto inedito: perché il mondo arabo non ha avuto un suo Sessantotto? Perché il conflitto israelo-palestinese non avrà mai la valenza simbolica e aggregatrice che ebbe il Vietnam per i giovani occidentali degli anni sessanta e settanta? Cosa accomuna i linguaggi e le forme mediali in cui il dissenso dei giovani arabi trova espressione alle manifestazioni degli indignados e al rap delle grandi periferie metropolitane occidentali? Qual è il rapporto con i nuovi mezzi di comunicazione? Internet giunge davvero a liberare i sogni di questi giovani o rischia di diventare anch'esso strumento di chiusura? E, infine, perché non riesce a emergere una leadership forte?
Sant'Alessio Siculo, fine estate 1975. Il futuro dottor Italo Agrò è ancora studente di legge nell'università di Napoli e sta terminando le vacanze nel suo paese d'origine. Il maresciallo dei Carabinieri, Augusto La Ronda, che ha già in passato chiesto a Italo di aiutarlo a stilare qualche rapporto particolarmente delicato, lunedì 7 settembre, lo fa prelevare in un bar di Letojanni, dov'era con gli amici, e condurre in caserma: nel pomeriggio è stato ritrovato tra i ruderi della chiesa di Sant'Agostino il cadavere di Biagio Mudaita, un giovane che lavorava nell'amministrazione della falegnameria paterna. Tra i maricaretti familiari, il mare della sua terra, il passaggio definitivo dall'adolescenza all'età adulta e gli aromi di una Sicilia lussureggiante, Italo Agrò non si limita a correggere il rapporto che il maresciallo intende inviare alle superiori autorità: si appassiona al caso e, in modo riservato, ma non troppo, collabora con il maresciallo con suggerimenti e riflessioni che lo aiutano nelle indagini, mentre si consumano quegli ultimi giorni di vacanza, durante i quali Italo inizia la sua storia d'amore con Irene Mangiacola, detta Nené.
A San'yutei Enchó (1839-1900), uno dei declamatori più rappresentativi del Novecento giapponese, si devono famose storie umoristiche e di fantasmi, alcune originali e altre elaborate partendo da antiche leggende giapponesi e cinesi. Sulle orme del padre, comincia a calcare la scena fin dai sei anni sperimentando diverse modalità e generi di narrazione teatrale. Negli ultimi anni della carriera si dedica ad adattamenti di trame occidentali firmando testi come "Meijin kurabe. Nishiki no maiginu" ("Maestri a confronto. Il vestito da ballo di seta", 1894), che deriva da "La Tosca di Victorien Sardou", a lui raccontata dal giornalista e scrittore di teatro Fukuchi Ochi, e per un caso elaborata prima di Tosca di Puccini, con il quale non ci furono mai contatti.