Li chiamano "rampage killer", dove rampage sta per una furia improvvisa, un'esplosione letale. Parliamo di assassini che uccidono più persone insieme, utilizzando armi da fuoco, esplosivi, incendi, ma anche veicoli lanciati contro vittime innocenti. Le stragi possono avvenire sul posto di lavoro, nelle scuole, nelle piazze e nei locali pubblici, per motivi religiosi, politici, razziali. E il filo conduttore è sempre uno: l'odio. Se in tutto il mondo il numero complessivo degli omicidi sembra diminuire, non accade così per gli hate crimes, delitti commessi contro persone discriminate in base all'appartenenza, vera o presunta, a un gruppo sociale. Ad alimentare l'odio e innescare la furia omicida sono i pregiudizi legati al sesso, all'etnia, alla lingua, alla nazionalità, all'aspetto fisico, alla religione, all'identità di genere, all'orientamento sessuale e alla presenza di disabilità. Gli autori alternano la ricostruzione di eventi drammatici e il profilo dei criminali responsabili a un'analisi dei meccanismi psicologici, culturali e sociali che ne hanno condizionato la comparsa e decretato il terribile successo. Non più serial killer. Sono loro i mostri del ventunesimo secolo, i rampage killer, gli assassini che in preda a un furore incontrollabile, compiono stragi con una frequenza mai vista.