Prefazione.
Ero adolescente quando venni a sapere che Chomsky era un anarchico: la cosa ebbe un grande effetto su di me. Eravamo verso il 1980 e, mentre la parola «anarchia» veniva gridata dal palco del concerto punk cui assistevo, mi sentivo solo nella mia convinzione che, nella dottrina da me adottata, c’era qualcosa di profondo e molto serio, qualcosa che trascendeva le facili esortazioni ad «abbattere lo stato», senza alcun suggerimento su come fare o con cosa sostituirlo. Avevo letto i classici (Proudhon, Bakunin, Kropotkin), ma era difficile trovarli, e poi erano morti. Chomsky non era soltanto vivo, ma anche un intellettuale assai letto e rispettato, che aveva scritto il suo primo saggio filoanarchico all’età di dieci anni, da ragazzo aveva frequentato le librerie e le rivendite anarchiche sulla Quarta Avenue, a Manhattan, non molto lontano da dove si teneva il concerto punk, e da adulto aveva mantenuto le sue convinzioni antiautoritarie. Nonostante la contraddizione che i miei compagni di quella sera avrebbero potuto rilevare nel mio ricorrere all’autorità di un personaggio pubblico, la cosa mi confortava, mi
faceva sentire meno solo.
In parte, questo libro viene pubblicato affinché possa ispirare quello stesso senso di scoperta e conforto. Ovviamente, è molto più difficile oggi nascondersi, se non altro all’interno dello stesso movimento anarchico. L’anarchia è più visibile e diffusa, il senso comunitario e di appartenenza molto più facile da trovare. Conosciamo meglio la versione chomskyana del socialismo libertario. Ma forse questa familiarità è pericolosa: crediamo di sapere cosa sia l’anarchia e chi sia Chomsky; così facendo, però, perdiamo un mucchio di sfumature e complessità. I saggi e le interviste contenuti nel presente volume, che risalgono al periodo tra 1969 e 2004, contengono, lo spero, alcune sorprese e stimoleranno domande anche agli anarchici più sicuri di sé.
Pubblichiamo inoltre quest’opera per i tanti che non sanno cos’è l’anarchia o che ne hanno una conoscenza perlopiù limitata ai titoli dei giornali che vogliono fare sensazione. A queste persone, presentiamo Chomsky come figura di collegamento con la nuova serie di idee sui mezzi per realizzare un cambiamento sociale, con una tradizione di concezioni e pratiche rivoluzionarie che, da 150 anni, cercano la giustizia socioeconomica senza la mediazione di capi, politici o burocrati. Al di fuori del movimento anarchico, molti sono completamente all’oscuro del fatto che l’opera di Chomsky affonda
le radici nel socialismo libertario, e che esse non riguardano solo la sua critica sociale, ma anche la sua teoria linguistica. Per loro, quindi, le sorprese di questo libro saranno perfino maggiori. In fondo, cosa potrebbe avere in comune quest’uomo tanto intelligente e ragionevole con gli individui che i telegiornali ci descrivono come l’antitesi della Ragione?
Parecchie cose, come dimostrano chiaramente i seguenti capitoli. La notissima critica chomskyana ai mezzi di comunicazione, alla politica estera americana, allo sfruttamento e all’oppressione di ogni genere, non nasce dal nulla. Si fonda infatti sulla sua idea basilare di quel che significa essere uomini: chi siamo, ciò che possiamo diventare, in che modo possiamo organizzarci la vita e come il nostro potenziale viene deformato e inibito dai rapporti gerarchici.
La critica senza una teoria sottesa si riduce alla semplice lamentela, cioè al modo in cui politici e mezzibusti della Fox News dipingono ogni protesta sociale. Per capire Chomsky, dobbiamo comprendere la sua filosofia, il che equivale a dire che occorre capire come concepisce l’anarchia.
Se questa raccolta servirà al suo scopo, sarete a buon punto. Nell’Introduzione, Barry Pateman sostiene che non esiste un’unica definizione movimento anarchico. Certo, alcuni anarchici appoggerebbero
qualche aspetto della versione chomskyana, per esempio il suo sottolineare l’importanza delle vittorie del riformismo, benché lui stesso ne scorga i limiti. Tuttavia, chiunque legga questo libro, sia che non sappia nulla sia che creda di sapere tutto sull’anarchia, imparerà qualcosa di prezioso. E poi spero che sarà incentivato a saperne di più, magari per contribuire a forgiare il mondo immaginato da Chomsky, quello in cui ognuno parteciperà direttamente alle decisioni che influiscono sulla sua vita e ove l’autorità illegittima verrà relegata nel posto che le spetta: una triste nota a piè di pagina sui tempi precedenti a quelli in cui sapremo metterci d’accordo per sistemare le cose nella giusta maniera.