DALLA PRESENTAZIONE DI GIANFRANCO RAVASI
Il famoso teologo Hans Urs von Balthasar scriveva: "Gli angeli circondano l'intera vita di Cristo: appaiono nel presepe come splendore della discesa di Dio in mezzo a noi; riappaiono nell'ascensione come splendore della nostra ascesa in Dio". Tra questi due estremi, l'angelo del Natale e l'angelo della Pasqua, sulla vita di Gesù, come sull'intera trama della Bibbia, si distende un volo angelico. Giovanni Santambrogio da questo immenso coro celeste ha fatto uscire le figure forse più popolari, quelle che vegliano sulle origini terrene del Figlio di Dio: nei racconti evangelici dell'infanzia di Gesù l'angelo fa capolino quattro volte nel testo di Matteo e ben quattordici volte in Luca. Il mistero che "entra nell'esistenza senza clamori" - come scrive Santambrogio - ha epifania attraverso Lorenzo Lotto con la sua Annunciazione della Pinacoteca Civica di Recanati. È nella quotidianità trasfigurata dell'abitazione di Maria, col letto massiccio, l'inginocchiatoio, i libri, il candelabro, il calamaio e persino un gatto spaventato (forse l'inquietante presenza del male demoniaco, costretto alla fuga), che si presenta l'angelo quasi timido e "umano", latore di un messaggio dirompente che viene da quel Dio, il quale è fasciato dalla veste rossa dell'amore. Lotto, dunque, "ama stupire servendosi della semplicità", riproponendo in tal modo l'anima genuina del mistero di un Logos eterno e perfetto che si fa sarx, carne fragile e limitata nella quotidianità dell'esistenza. La notte gelida, un brivido di luce, pastori attorno a un ciocco che arde, un manto di neve, una grotta con alcune presenze povere ma solenni, e in alto gli angeli, tanti angeli a intonare il corale quasi cosmico del Gloria in excelsis: è pensata sempre così la "Natività di Cristo" in mille tele, tavole o affreschi o sculture, in opere celebri e in oleografie modeste, in mille e mille presepi e in altrettante canzoni natalizie. Tutto, però, era cominciato prima, a Nazaret, con l'angelo dell'Annunciazione, il cui nome, Gabriele, già si affacciava nel libro profetico di Daniele. Ed è proprio all'angelo Gabriele che si riferisce Santambrogio, dandogli il volto che per lui aveva immaginato il Beato Angelico nel dipinto del Prado di Madrid. Già la designazione onomastica di questo pittore è un emblema: John Ruskin, critico d'arte e artista in proprio, sosteneva che la vita stessa di questo pittore di fede e di luce "era quasi interamente dedicata allo sforzo di immaginare esseri appartenenti a un altro mondo". Sotto quel portico dalle volte azzurre e popolate di stelle, ove s'intravedono la colomba e la rondine e ove irrompe la luce della mano di Dio, si celebra il grande mistero cristiano dell'incarnazione, affidato proprio alle parole dell'angelo a Maria: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo" (Lc 1, 31-32). A margine della scena lucana dell'Annunciazione a Maria, vogliamo ricordare che Matteo conosce, invece, un'Annunciazione a Giuseppe, anch'essa segnata da "un angelo del Signore" che in una visione notturna invita questo "figlio di Davide" a non "temere di prendere Maria" (Mt 1, 20) come sua sposa. E la tradizione apocrifa identificherà quell'angelo nello stesso Gabriele che aveva parlato a Maria. Giuseppe sarà sempre accompagnato dagli angeli nei primi tempi, già tormentati, della vita del neonato Gesù: "Un angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto" (Mt 2, 13). E dopo il soggiorno egiziano, "morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele" (Mt 2, 19). Entrato in Palestina, "avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret" (Mt 2, 22-23). C'è, però, un'altra Annunciazione, quella che squarcia il cielo notturno di Betlemme e che ha per destinatari i pastori (Lc 2, 8-20). Santambrogio sceglie un pittore senese del Quattrocento, Sano di Pietro, per far balenare davanti ai nostri occhi quell'angelo in abito rosso fuoco, più intenso della fiamma che riscalda il gelo notturno di due pastori, del loro gregge e del loro cane. Su quei visi stanchi si fanno strada lo stupore e la serenità, mentre essi seguono l'indice dell'angelo che li indirizza a una città sul monte a Betlemme. Questa irruzione nel torpore di un'esistenza misera e marginale è decisiva anche per l'altro pittore che è convocato a illustrare quella rivelazione, Jacopo Bassano. Ora è un solo pastore a notare quell'angelo, mentre i suoi colleghi proseguono quelle azioni che colmano una vita senza grandi sussulti e speranze. Un fascio di luce isola il pastore dagli occhi più intensi, mentre sugli altri si stende la coltre dell'oscurità. Anche in questa scena l'indice dell'angelo, che appare su una nube a forma di cocchio, è significativo. Anzi, entrambi gli indici delle mani sono coinvolti: l'uno rivolto verso l'alto, a Dio che parla, l'altro puntato verso il pastore scelto perché annunzi agli altri la parola divina dell'incarnazione. Ed è ormai a Betlemme, nello spazio spoglio e povero del Natale, che dobbiamo dirigerci con quel pastore per l'ultimo incontro angelico. Dopo l'annunzio, ecco la presenza. Santambrogio sceglie anche in questo caso due soggetti pittorici. C'è innanzitutto la Natività mistica, l'unica tela datata e firmata da Botticelli (1500), un piccolo dipinto di un metro per settantacinque centimetri. Sulla scia della predicazione savonaroliana, ad alimentare l'iconografia non sono solo i Vangeli, ma anche l'Apocalisse con la celebre figura della madre del capitolo 12. Il pittore "proietta, così, il fatto storico nell'epifania di tutti i tempi". La grotta, che evoca il grembo di Maria, è sormontata da una capanna che può diventare metafora della "casa" del corpo di Cristo. E sopra il tetto, ecco gli angeli della fede, della speranza e della carità che cantano la gloria divina ma che, col libro aperto, offrono il messaggio della salvezza all'umanità, mentre lassù nel cielo danzano altri dodici angeli, riflesso del numero sacro caro alla Gerusalemme nuova dell'Apocalisse (capitolo 21). Tocca al Caravaggio concludere la sequenza angelica natalizia che scorre in queste pagine. Con gli angeli della Natività di Palermo si ha la rappresentazione della "visibilità di Dio che parla" all'umanità. Il pittore intreccia tra loro alcune figure: Maria, Gesù, i pastori, san Lorenzo e san Francesco, e l'angelo "che spiomba dall'alto come un giglio scavezzato dal proprio peso" (R. Longhi). Commenta Santambrogio: "Lui, l'angelo, dà senso a tutta la scena. Eppure non vediamo i suoi occhi, il viso è seminascosto, non leggiamo alcuna espressione sulle labbra. Tutto è affidato al gesto delle braccia distese: la destra protesa verso il cielo con l'indice puntato e la sinistra rivolta verso il bambino adagiato sopra un bianco lenzuolo". Il trittico angelico natalizio sta ora davanti a noi nelle sue tre tavole dell'annuncio a Maria, ai pastori e al mondo intero con la nascita di Cristo. Ancora una volta gli artisti sono stati capaci di compiere una "esegesi" del testo evangelico svelandone il mistero profondo, trasfigurandone le parole in epifania di luce, attualizzandone il messaggio per noi che celebriamo ogni anno il Natale di Cristo nella fede e nell'amore. Giustamente un pittore a noi cronologicamente più vicino, Chagall, diceva che gli artisti hanno intinto per secoli il loro pennello nell'alfabeto colorato delle Sacre Scritture. E lo hanno fatto anche per il "nostro Natale", come scrive Santambrogio nel suo ultimo capitolo, ove a chiamarci alla grotta di Betlemme sono, però, gli scrittori, alcuni attesi come Claudel o Rilke, altri apparentemente fuori luogo, eppure anch'essi giunti davanti al Bambino, come Nietzsche e Sartre. Ed è proprio con uno scrittore lontano dalla fede cristiana che vogliamo suggellare l'originale meditazione natalizia presente nelle pagine che seguiranno. È Bertolt Brecht, famoso drammaturgo tedesco, che in una poesia ci ricorda quanto il Natale sia necessario, soprattutto per gli ultimi della terra:
Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale, noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre di fuori,
il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi,
volgi lo sguardo:
perché Tu ci sei davvero necessario.