Tobino, ne "La brace dei Biassoli" (1956), il suo libro più personale e doloroso, rende omaggio alla figura della madre, Maria Biassoli, da poco scomparsa. Come nella "Vita nova" dantesca, lo scrittore muove dal dolore per la perdita di una donna amata assurta ad archetipo di femminilità, snodando poi il racconto, quasi un succedersi di quadri di una sacra rappresentazione, o di stanze di una canzone, tra prosa e poesia, in una continua alternanza tra opposte tensioni emotive e stilistiche. Al centro, la figura di Maria che, tornando a Vezzano, il paese di famiglia incastonato tra monti e fiume, in un entroterra ligure aspro e dolcissimo, sente rinascere le antiche emozioni, la brace rifarsi fiamma; e attorno a lei, i membri della famiglia Biassoli, un formicolare di volti e vicende che spingono l'autore - in un romanzo che a detta di Italo Calvino si presenta come "il più sciolto e limpido nella sua prosa" - a rimeditare "sugli affetti e i legami fra chi vive e chi muore, sul valore e il segno del nostro stare al mondo".