Ansimando sull'orlo di un'esplosione perenne, giorno dopo giorno, perduto in una vertigine di giorni braccati e respiri marci, corti, nel collasso baluginante di macchine in corsa e sportelli che sbattono, di attentati, carcerato dentro palazzoni anonimi e senza peso, lunghissimi, grandissimi, forse mai esistiti, morti dentro e prima di lui. Deluso, triste, arrabbiato, straziato, con una compagna e una figlia, è così che lo s'immagina lo scrittore. E inesorabilmente intrecciato alle vicende di un altro uomo, il caposcorta, ovvero Angelo, un nome parlante, un livido quanto fedele messaggero di un mondo da dovere combattere e proteggere insieme, di un'intimità da vivere nella distanza e di una quotidianità alla quale lo scrittore non ha più accesso. I metri che percorre non sono che la polvere corrotta di un condannato, di un vivo già putrefatto, un aquilone con l'istinto più nella terra che non dentro il cielo. Come Angelo del resto, come i camorristi che li perseguitano, come ogni altra natura e carne. Non c'è speranza nella vita, ma solo nella scrittura. Non si salva lo scrittore, ma chi legge, ciò che è letto. Tutto il resto è trappola, ricatto, persecuzione.