La presente monografia su Stefano D’Arrigo (1919-1992) è dedicata ai suoi due grandi e ancora troppo misconosciuti romanzi, Horcynus Orca (1975) e Cima delle nobildonne (1985), che insieme delineano una visione della letteratura di rara potenza filosofica e mitopoietica.
Entrare in Horcynus Orca, scrive Marco Trainito, «è davvero come entrare nel labirinto del Minotauro, perché le infinite svolte narrative e gli snervanti indugi sintattico-espressivi non sono che un’iniziazione all’incontro col Mostro protagonista, che farà la sua prima apparizione esattamente nel cuore dell’opera e da quel momento accompagnerà il lettore in un viaggio di ritorno allucinante che è l’uscita non più dal labirinto del testo, ma dalla vita tout court: quella di ’Ndrja Cambrìa, quella della Storia, quella del Mondo, e quella dell’Orca stessa, la cui morte è simbolo e correlato oggettivo del “finimondo” esistenziale, storico e cosmico annunciato dal romanzo». Ecco perché la prima parte del volume, costituita da un saggio puntuale e accessibile su Horcynus Orca, si configura per il lettore come vero e proprio filo di Arianna per immergersi nell’abisso di senso che si cela dentro il misterioso e particolarmente arduo romanzo.
La seconda parte del volume presenta una lettura attualizzata di Cima delle nobildonne, il secondo e ancor meno noto romanzo di D’Arrigo, alla luce del recente dibattito sulle radici dell’Europa e dell’Occidente. Con una stringente argomentazione a sostegno della colta cavalcata lungo taluni snodi cruciali dell’immaginario occidentale, Marco Trainito cerca di mostrare come il romanzo aiuti a comprendere laicamente la ricca e complessa stratificazione storico-culturale della nostra identità, che alcuni fondamentalisti nostrani (teocon, teodem, atei devoti e/o neoguelfi) vorrebbero semplificare, mutilare e tradire in nome di una presunta essenza ebraico-cristiana della civiltà occidentale.