È una sera di pioggia battente a Roma e, mentre il Tevere esonda, sull’autobus 175 si sta stretti. Troppo stretti, forse, la gente quasi si restringe per evitare di sedersi accanto a quattro ragazzini sgualciti: «i soliti rumeni», mormora una donna. Ma che non sono rumeni, Carlotta, anche lei su quell’autobus, se ne accorge subito. È incuriosita, e si rivolge loro in inglese. Poche domande semplici, guardandoli negli occhi, occhi stanchi ma scintillanti. Scopre, con stupore, che quei quattro ragazzini vengono dall’Afghanistan. Scopre che sono giunti in Italia a piedi, dopo un’incredibile marcia durata cinque mesi e cinquemila chilometri. Sorridono ora, sembrano contenti, contenti che il loro viaggio sia giunto alla meta prefissata, alla Piramide, la fermata dove trascorreranno la notte in quella che per loro è “la città di Asterix”. Quattro ragazzini afgani a Roma, soli, sotto la pioggia, in un mondo magico e ostile. Carlotta dà loro appuntamento per la mattina seguente. Ne ritrova solo uno, Akmed.
È l’inizio di una emozionante storia umana, tra una giovane donna e un figlio della guerra. Una storia inaspettata, a volte feroce altre perfino comica, che traccerà la propria strada seguendo le briciole di poeti e sognatori. Una storia in cui tutto diviene emergenza e ogni parola perde di significato. O ne acquista di più importanti, di nuovi.