La cura della salute, con una più acuta sensibilità alla qualità della vita, appare una nota distintiva della nostra epoca. Nella sua evidente valenza positiva, essa presenta anche innegabili ambiguità: mentre, infatti, spinge la ricerca biomedica verso traguardi sempre più esigenti, è però motivo di una diffusa preoccupazione nei confronti di tutto ciò che è considerato una minaccia al proprio benessere, come il dolore, la malattia, l’invecchiamento. Ed ecco il paradosso: l’imperativo della salute ad ogni costo, anziché provocare una maggiore sicurezza, si sta trasformando in fonte di una nuova insicurezza, che rischia di identificare la felicità con la salute, la dignità della vita con la qualità della vita. D’altra parte, gli interrogativi sui significati di esperienze cruciali come il dolore, la malattia, la morte, rischiano di rimanere irrisolti, se le risposte si affidano soltanto alla scienza biomedica o alla tecnica. Diventa allora quanto mai importante, in particolare per chi svolge una professione di cura, la riflessione antropologica, premessa necessaria a qualsiasi riflessione bioe-tica. Chiedersi chi è veramente l’uomo appare indispensabile per cogliere il bisogno di senso che egli manifesta universalmente nell’affrontare il vivere e il morire, la sofferenza e la cura.
Corporeità e dolore, salute e malattia, vecchiaia e morte, cura e compassione, sono le questioni affrontate nel saggio, non con la pretesa di fornire soluzioni, ma di offrire un’occasione per comprendersi e per comprendere.