Rodolfo il Glabro, di cui la Fondazione Valla pubblica le "Cronache dell'anno mille in una fondamentale edizione critica, nacque attorno al 985 e mori attorno al 1047. Fu un monaco cluniacense, allievo di Guglielmo da Volpiano: irrequieto, nevrotico, sempre in fuga; e per questo tanto più legato alla fede religiosa che lo schiacciava. Era un uomo colto, complicato, sottile - e fanatico, e rozzo come il più rozzo contadino medievale. Le "Cronache dell'anno mille" raccontano la storia d'Europa dal 900 fino ai suoi tempi. Rodolfo è un teologo: sa che Dio è coincidenza di opposti: "immobilmente mutevole e mobilmente immutabile"; e tutto il suo libro consiste nella ricerca della mano di Dio nella storia umana. L'uomo è peccatore: forse nessuno scrittore, in tutto il Medioevo, ha una coscienza così tremenda della malvagità dell'uomo, che né interventi celesti né pellegrinaggi né reliquie né apparizioni meravigliose possono alleviare. "Il genere umano è incline fin dall'origine al male come un cane al vomito, o come una scrofa che si lava sguazzando nel fango." Rodolfo racconta prodigi e calamità naturali, che sembrano rivelare un piano soprannaturale: orrori che la nostra fantasia ha difficoltà a concepire, corruzioni, stupri, empietà, guerre, vizi innominabili, epidemie, follie; ed è convinto che il mondo si stia avviando verso la sua prossima fine. In questa trama di eventi, Rodolfo cerca un senso. A chi risale la colpa delle sventure e delle nefandezze che formano il tessuto della storia? Agli uomini, col cuore guasto e le mani insanguinate? O a Dio che, di generazione in generazione si vendica implacabilmente dei peccatori? Ma il senso, alla fine, sfugge a Rodolfo. I nessi cronologici del racconto si disgregano, perché la stessa realtà è disgregata. Mentre egli guardava e riguardava questa storia di infamie e insensatezze, forse si accorse di quanto noi percepiamo distintamente nella sua opera. I fatti da lui narrati sono figli di un destino atroce e casuale: Dio vi è completamente assente. In tutto il libro, c'è un solo segno di Dio: quel passo famoso dove la terra, "come scrollandosi e liberandosi dalla vecchiaia", "si riveste di un fulgido manto di chiese".
Questo volume contiene un ricco corredo iconografico, con illustrazioni tratte da codia, bassorilievi e altre manifestazioni artistiche medievali.
Indice - Sommario
Introduzione
Cartina
Bibliografia essenziale
Nota la testo
Abbreviazioni bibliografiche
Tavole genealogiche
TESTO E TRADUZIONE
Sigla
Libro I
Libro II
Libro III
Libro IV
Libro V
COMMENTO
Indice dei nomi
Indice geografico
Prefazione / Introduzione
Dall'introduzione
1. La formazione di Rodolfo
Nel libro V delle Storie di Rodolfo il Glabro, "un essere dall'aspetto tenebroso" dice a un monaco: "Perché mai voi monaci, diversamente da quel che fanno gli altri uomini, vi sottoponete a tante fatiche, veglie, digiuni, penitenze, canti di salmi e innumerevoli altre mortificazioni? Non è forse vero che moltissime persone, pur vivendo nel mondo e persistendo nel peccato fino al termine della vita, sono destinate a godere di quella stessa pace cui voi tendete? Per guadagnare il premio della felicità eterna, che spetta a voi in quanto giusti, basterebbe un giorno o un'ora sola. Cosi mi domando perché tu stesso con tanto zelo, non appena senti la campana, balzi prontamente dal letto interrompendo la dolcezza del sonno, mentre potresti startene a dormire fino al terzo rintocco ... Non avete nulla da temere: siete liberi di seguire i vostri impulsi e di soddisfare senza danno qualsiasi piacere carnale". Il sogno-visione sembra la proiezione di quell'inquietudine esistenziale che porta Rodolfo il Glabro di monastero in monastero nella Borgogna dell'anno Mille; sogno-visione fatto di immagine e parola, che percuote vista e udito, incrinando il propositum monastico: "Con queste e simili sciocchezze il diavolo, perfido com'era, si faceva gioco del monaco; anzi lo abbindolò al punto di convincerlo ad astenersi dal partecipare con gli altri al servizio del mattutino".
Si può rintracciare il percorso del sogno-visione di Rodolfo: esso s'ncontra nella "Visto Anselli Scholastid", testo fatto scrivere da Oddone di Saint-Germain d'Auxerre tra gli anni trenta e cinquanta del secolo XI, quando Rodolfo, dopo lungo girovagare, si ritira in quel monastero. E una visione che egli forse ha sentito tante volte raccontare dal suo abate (il monaco anonimo?), ma che adatta ai suoi stati d'animo, ad un mondo onirico, nel quale prendono figura le sue inquietudini e che affascina Rodolfo.
Quando scrive il libro V delle Storie, Rodolfo - nato verso il 985 non si sa con precisione dove, ma con ogni probabilità in Borgogna - è ormai anziano, forse al riparo delle "sciocchezze", certo ancora assai turbato dai ricordi. Da adolescente, appena compiuti i dodici anni, era stato sottratto con la forza alle "perverse vanità del mondo"; e nella sua monacazione obbligata egli aveva mutato l'abito, "ahimè l'abito soltanto, non il carattere". E dunque gli insidiosi "perché" e gli attrattivi inviti che il demone, laido, con eloquenza perfida e seducente, rivolge al "monaco", non possono essere che gli stessi che hanno travagliato Rodolfo da giovane, lasciandolo "pieno di turbamento e di confusione", fino a prostrarlo, a fargli cercare l'unica via di scampo nelle parole "Signore Gesù, che sei venuto per la salvezza dei peccatori, in virtù della tua immensa misericordia abbi pietà di me". Si intuisce che le "perverse vanità del mondo" non hanno mai cessato di esercitare la loro tentazione sul monaco, turbandone la coscienza; di qui le ribellioni, le arroganze, le negligenze, sentite come "gravi peccati" e perciò sofferte e represse. Ma anche pronte ad esplodere. Rodolfo stesso ricorda: "Per quanto i superiori e i fratelli spirituali mi esortassero per il mio bene alla moderazione e alla santità, io, col cuore ricoperto da una spessa corazza di riottosità e presunzione, rifiutavo per orgoglio di accettare quei salutari consigli. Mi ribellavo ai più anziani, infastidivo i coetanei, opprimevo i più giovani; insomma, a dirla franca, la mia presenza era un tormento, la mia assenza un sollievo per tutti. Infine, spinti da questi e da altri simili motivi, i monaci di quel luogo mi cacciarono dalla sede della loro comunità, sapendo d'altronde che non mi sarebbe mancato un tetto dove abitare, se non altro in virtù delle mie cognizioni letterarie, come s'era già sperimentato in varie occasioni". "Più volte" Rodolfo è espulso dalla comunità; è costretto a cercarsi un altro monastero; ma il diavolo è sempre in agguato nei luoghi dei suoi spostamenti: a Saint-Léger de Champeaux, a San Benigno (Saint-Bénigne) di Digione, a Santa Maria di Melleraye (o Moutiers-Sainte-Marie), la "figura ripugnante" gli si presenta verso il mattino, acquattata ai piedi del letto, o eruttata dalle latrine, o affannata su per le scale, sempre urlante. Nel ricordo di Rodolfo le visioni demoniache si intrecciano al suo richiamare febbrilmente alla memoria negligenze, colpe, trasgressioni commesse "dall'infanzia in poi". Restare a letto è dolce verso l'alba; ma il demonio grida due, tre volte "Eccomi! eccomi! io sto con quelli che rimangono qui". "Indulgere al riposo" è vizio, al pari dei "più svariati vizi" nei quali insistono "gli innumerevoli individui" che non hanno rinunciato al mondo; e dunque, mancare alla preghiera del mattino, sottrarsi al primo obbligo della giornata, nel monaco ingenera sensi di colpa, lacerazioni, paure: "spaventato" Rodolfo balza dal letto e corre a gettarsi "ai piedi dell'altare del santissimo padre Benedetto", a lungo restando "steso e immobile".