Quando Antonio Rosmini nel 1848 pubblicava il suo opuscolo sulle cinque piaghe della Santa Chiesa, egli certamente intendeva mettere in risalto quali fossero le sofferenze che la Chiesa attraversava in quel dato momento storico, o perlomeno quelle che lui percepiva come tali. L'autore, una delle menti più elevate della cultura cattolica, aveva con il suo pensiero spaziato negli ambiti più diversi, anche a volte controversi, ma mai perdendo di vista il suo essere figlio della Chiesa, come viene reso più ancora evidente dall'ardore da lui dimostrato nel lavoro sulle cinque piaghe. Un lavoro in cui lui certo muoveva alcune critiche, alcune obiezioni, ma sempre tenendo di fronte a lui la maternità della Chiesa come elemento fondante del suo agire. Non è possibile anche criticare la propria madre senza cessare di amarla? Oggi ci sembra che ogni critica debba essere considerata alla stregua di un tradimento, di una mancanza imperdonabile di rispetto, di un affronto ai diritti della nostra santa religione. Ma in realtà è attraverso critiche costruttive che possiamo evolvere, correggere, modificare per il meglio. Uno sguardo caustico ma sincero sui mali che affliggono la musica e la liturgia. Perché si può criticare quando è in gioco un bene così grande come quello della liturgia, della sua dignità, del suo decoro, anche attraverso l'uso della musica. Si può criticare, anzi in alcune circostanze, si deve.