La figura maestosa, torreggiante di Mosè, dalle pagine bibliche è trasmigrata più volte nella letteratura, ha sedotto pittori e scultori, attratti dal cammino della sua spiritualità. Sono proprio i percorsi talora lenti e perplessi, e i nodi critici di questo viaggio interiore, coniugato con l'evoluzione della religione stessa d'Israele, ad apparire in questo romanzo dell'autore dell'Ombra del Padre. In parallelo, il deserto è teatro degli itinerari umanamente incomprensibili di Israele - popolo consacrato al culto di Jahvè, il "Dio geloso" dei padri - custode, nonostante le continue infedeltà, della promessa che gli ha assegnato la terra di Canaan. È il deserto che la "prima generazione" uscita dall'Egitto odia e rifiuta, e che la "seconda generazione" nutrita dal "cibo del cielo", non si risolve, pur continuando a detestarlo, ad abbandonare per affrontare la lotta con le popolazioni cananee. In mezzo a una folla di personaggi - i capi delle tribù, alcuni dei quali vigorosi e ardenti guerrieri; Aronne, Eleazaro, il levita intransigente Finees, l'"integralista" Giosuè, i faraoni Tutmosi e Amenofi ii, i prìncipi della Terra Promessa come Balak, l'indovino Balaam, selvaggiamente estatico, le donne cesellate con finezza, quali Noa e Uta, si staglia Mosè, l'"amico di Dio"; in lui la religiosità ebraica rivela infine, attraverso tempeste di dubbio, una consonanza con la misericordia infinita di Jahvè, che prelude alla novità cristiana.