Deumanizzare significa negare l’umanità dell’altro. È un fenomeno poliedrico, multiforme, flessibile. Si adatta ai luoghi, alle relazioni, alle persone singole come a intere popolazioni e assume di volta in volta i contenuti richiesti dal clima culturale del momento. Un primo gradino, ad esempio, di questo processo sono i pregiudizi, i luoghi comuni o le espressioni razziste con cui si pongono in contrapposizione dei gruppi di persone, creando un “noi” e un “loro”: “noi” che siamo i settentrionali, i bianchi, i cattolici, gli europei e “loro” che sono i meridionali, i negri, gli zingari. Già nel porre questa divisione si crea il germe di una presunta umanità un po’ diversa, che può essere stigmatizzata ed emarginata al di fuori di quella che viene ritenuta la reale dimensione umana. Andando indietro nella storia occidentale, lo sterminio delle popolazioni americane nel ’600 è sorretto da un’ideologia che appiattisce l’immagine dei nativi su quella delle bestie. Gli esempi di deumanizzazione dei nativi pervade le cronache della conquista e la saggistica successiva: i conquistatori li definiscono creature barbare, prive di intelligenza, cannibali e i filosofi spagnoli discussero a lungo se gli indiani fossero uomini o scimmie, semplici bruti o creature capaci di pensieri razionali e se Dio li avesse creati allo scopo di fornire schiavi agli europei. Chiara Volpato propone in questo volume una rassegna degli studi sui fenomeni di deumanizzazione con una prospettiva psicosociale. Analizza le diverse espressioni che può assumere questo processo – l’animalizzazione, la demonizzazione, la biologizzazione, l’oggettivazione, la meccanizzazione – attraverso una ricognizione delle loro manifestazioni storiche. Uno sguardo particolare è riservato al ruolo che hanno oggi i media nella diffusione e nel mantenimento di immagini e concetti deumanizzanti