"Una Parola Domenicale"!
Quale parola, però? Non quella che la Chiesa, con l'arte finissima di cui sa essere l'autrice, compone ogni settimana in un quadretto fatto di Antico Testamento, di poesia, di antifone e versetti tratti dai Salmi, con ben meditate orazioni, con brani apostolici neotestamentari e, finalmente, con un testo dei Vangeli. Tutto questo è supposto. Non leggiamo qui nemmeno il frutto di quell'infelice costume che riduce le letture e le omelie domenicali al solo commento del "Vangelo della Messa", interpretando e impoverendo così, con una sintesi veramente "astratta", l'elaborato messaggio sapienziale che la Chiesa destina ai suoi fedeli ogni domenica. Come si può parlare, infatti, di Nuovo Testamento tacendo sull'Antico, e come ridurre l'Evangelo a una prosa spogliandolo della sua poesia e della sua mistica?
No! Qui incontriamo una, e una sola risonanza della presupposta integra lettura delle Scritture di ciascuna delle liturgie domenicali. Questa risonanza emerge dalla coscienza di una persona che ha bene ascoltato tutta la Parola, rimanendone colpita in un modo che manifesta la complessità della ricezione che quella Parola trova nella sua sensibilità intelligente e affettiva. Ricordiamo la sentenza latina: “Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur” (tutto quanto è ricevuto, viene ricevuto secondo la modalità di colui che lo riceve).
Qui sta la forza e la grande utilità di queste scintillanti parole domenicali di Ester Abbattista. Cadendo nella sua coscienza di cristiana desta e consapevole, le diverse liturgie domenicali della Parola creano dei cortocircuiti inaspettati di fede, di speranza e di amore che ci aprono la vista su orizzonti nuovi, altrettanto inattesi, ma sempre ben radicati in un autentico sentire evangelico.