Vladimir Sergeevicv Solov’ëv (1853-1900),visionario profeta del dialogo e tenero amante della Sapienza Divina, scrisse “Il dramma della vita di Platone”nel 1898, lo stesso anno del secondo viaggio in Egitto allorquando cominciarono i primi segni di cedimento fisico dovuti al troppo lavoro. In XXX paragrafi Solov’ëv analizza –facendo precedere il tutto da una lunga introduzione su come intendere il concetto di “dramma” nel pensiero greco a partire dai pre-socratici– il legame tra la teoria dell’amore di Platone (o meglio: la sua “crisi erotica”, proprio per come la definisce Solov’ëv) e il consequenziale mutamento della sua visione del mondo. L’autore si chiede quale sia la svolta (e ‘quando’, oltre al ‘come’, precisamente, si sia consumata) che induce Platone –fino a quel momento pensatore del “non essente”, fondatore del ‘pensare’ metafisico e delle questioni gnoseologiche astrattamente interpretate– a dedicare le sue migliori opere all’amore. Un argomento fino ad allora non specificatamente rientrato nell’ordinarietà della sua sfera filosofica che lo porta alla proposizione di una teoria che non trova punti di appoggio nelle sue ‘visioni’ precedenti e che ha lasciato, in tutto il successivo corso del suo pensiero, un’impronta profonda, determinante. Ancor prima della contrapposizione tra il “vero essere” e l’umbratile “divenire”, l’apparente o il fenomeno, Platone, sotto l’influsso della dottrina e della morte di Socrate, presentì la contrapposizione etica tra ciò che deve essere e ciò che effettivamente è, tra l’autentico ordine morale e l’ordinamento della società data. Questo fu il ‘dramma’ vissuto da Platone e dalla risposta di Solov’ëv alla domanda precedente concludiamo che la revisione del pensiero filosofico platonico fu determinata proprio da tale ‘crisi’ (da cui scaturisce, appunto, la sua teoria dell’amore) che è concepibile solo come progresso del suo idealismo letteralmente imposto dalle esigenze di una nuova esperienza esistenziale.