Il ruolo della mistica nella storia: l'opera magistrale del grande filosofo e storico francese.
Quest’opera è considerata da molti il capolavoro di Michel de Certeau. Essa racconta l’irruzione nella storia della parola mistica come esperienza di marginalità, esclusione e rinuncia.
Un’esperienza che si svolge in luoghi in cui perdersi, attraverso parole o scene di enunciazione che sperimentano nuovi linguaggi: da Eckhart a Silesius, da Teresa d’Avila a Giovanni della Croce o Surin, tutto un corteo luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti oscilla fatalmente tra obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, sapere istituito e nuovi ordini del conoscere.
Critica letteraria e psicoanalisi, semiotica e filologia, analisi sociale e indagine politica, contribuiscono a disegnare un percorso che abbandona (ma non trascura) i confini della teologia e si lascia contaminare da strumenti critici apparentemente estranei o inadeguati.
Ed è proprio la sorvegliata e rigorosa contaminazione tra discipline a costituire il tratto caratteristico dell’opera dello storico, come pure il suo lascito fecondo: assumere l’«altrove» come griglia ermeneutica o il «desiderio» come impossibile che muove la storia, significa mettere in discussione ogni teoria o pragmatica della comunicazione e lasciare che a parlare sia un linguaggio perforato, interdetto, opaco, sempre bisognoso di traduzione ma anche sempre più ricco di qualunque sistema.
Se nelle parole dei mistici si occulta «il lutto che le separa da quanto mostrano» non sarà possibile smettere di percorrerne i tracciati, lasciandosi letteralmente «alterare» da quanto producono. La nostalgia di un’inafferrabile origine attraversa Fabula Mistica per contestare l’utopia della trasparenza e della pienezza di un sapere che occupa la scena con la pretesa di ricapitolare ogni suo movimento.
Ma altre scene, altri teatri, altre narrazioni si sono insinuate nei secoli XVI e XVII e, più o meno consapevolmente, hanno inaugurato il nostro tempo. Michel de Certeau – passante dei saperi – non intende captare alcun segreto, ma prova ad osservare tali scene con lo sguardo di chi cerca il loro punto di fuga, vale a dire l’impossibile «da cui ci sviano verso un assoluto».