Era necessario l’evento tragico dell’11 settembre perché l’uomo comprendesse la necessità di guardare all’altro in modo diverso? Dobbiamo ripensare la prospettiva con cui guardiamo l’altro, il diverso, lo sconosciuto. In fin dei conti si impone di rivedere chi siamo noi insinuando il dubbio che solo cambiando per primi possiamo sperare di tessere relazioni con gli altri. Partendo dalla consapevolezza che nessuno è immune da errori. Per qualcuno può sembrare al più un semplice auspicio, talvolta una speranza da coltivare. Non mancano coloro che lo considerano un rischio da evitare. Altri che, praticandolo, ambiscono alla conversione altrui. Solo costruendo una pedagogia del dialogo, di un metodo capace di rispetto nell’ascolto reciproco sarà possibile superare gli ostacoli e le oggettive differenze (che mai devono essere azzerate o nascoste) che contrassegnano le religioni. Percorrere il dialogo interreligioso impone come condizione preliminare quella di “mettersi nelle scarpe dell’altro” non per rinunciare alla propria fede nè per omologarla ad altre, anzi. Emerge l’atteggiamento del credente, di colui che sa che nell’altro, chiunque esso sia e qualunque fede abbia (se ne ha una), si è ripetuto lo stesso miracolo cui ne ha beneficiato: l’amore di Dio.
Saggi di: M. Ferrini, B. Pandolfi, P.Dioguardi, M. Marino, B. Di Porto, A. Ruberti, Luigi Sapio, H.’Abd al-Qadir, R. Distefano, L.M. Sarteschi, M. Salani.