"Caro risparmiatore, i suoi soldi sono i nostri. Pertanto non ce li chieda, perché noi li facciamo girare nel nostro interesse. Nel caso non fosse soddisfatto del servizio, non importa: tanto non ci troverà. Siamo nell'era del mondo liquido, dei servizi immateriali, dei call center". Non sarebbe meglio se ce lo dicessero così chiaramente, invece di illuderci con pubblicità da Baci Perugina? Almeno uno lo sa. Lo sa. Quelle che ci mancano in realtà sono le informazioni, è la conoscenza. Noi andiamo sulla fiducia, loro sulla nostra ignoranza. Loro sono il GangBank: un sistema di saccheggio instaurato dalle élite - colossi bancari, fondi d'investimento, agenzie di rating, multinazionali - che controllano la finanza globale. Dilagano come orde barbariche mosse da una sete inestinguibile, non limitandosi ad applicare le loro spietate strategie, ma spacciandole addirittura per interventi salvifici. L'Italia è un tragico esempio. Per venticinque anni è stata un perfetto terreno di caccia. Con il beneplacito di politici complici, interessati, spesso inetti, il modello sociale e imprenditoriale italiano - che il mondo ci invidiava - è stato indebolito e smantellato. Al grido, ripetuto come un mantra da media e politici, di "il pubblico è male, il privato è bene", "siamo troppo spreconi" e "ce lo chiede l'Europa", ci siamo indebitati, abbiamo perso il lavoro, i diritti, le tutele sociali e democratiche. I danni ormai sono così gravi che non si può fingere di non vederli. GangBank è un atto d'accusa senza sconti, che non ha paura di fare i nomi dei colpevoli e di svelarne i misfatti. Ma è anche uno sprone a informarsi e tutelarsi e un appello alla riscossa. A riprendersi, con l'arma della democrazia, tutto quello che ci spetta di diritto.