La civiltà occidentale attribuisce alla guerra il potere di generare le forme della politica, i valori della società, la materia dell'arte, di decidere la storia individuale e collettiva. Lo studio delle narrazioni belliche insegna che quest'idea deriva dal paradigma culturale in cui si coniugano guerra e visione. In conformità all'archetipo eroico, che prescriveva al guerriero di distinguersi entro la mischia in un duello a singolar tenzone, poi eternato dal canto del poeta, l'Occidente per millenni pensa la battaglia come evento fatidico, momento della verità in cui le controversie si decidono irrevocabilmente, gli individui mostrano il proprio valore, le identità dei contendenti si definiscono reciprocamente e, soprattutto, la vicenda umana trova il proprio senso entrando a far parte di un racconto memorabile. A questo modo, la visibilità fornisce alla guerra sia il criterio della sua rappresentazione, sia quello della sua motivazione, conduzione e legittimazione. Finalista al Premio Viareggio nel 2003, il libro si arricchisce di una postfazione in cui Scurati riflette sulla trasvalutazione delle rappresentazioni occidentali della guerra dopo l'11 settembre.