Nel 1938, Karl Schwarz, il nonno tedesco dell'autrice, rileva, nell'ambito del processo di arianizzazione voluto dai nazionalsocialisti, la piccola azienda di prodotti petroliferi di Julius Löbmann, pagandola assai meno di quanto in realtà valesse. E quando dopo la guerra questi, unico sopravvissuto della sua famiglia sterminata in un campo di concentramento, chiede di essere risarcito, Schwarz per anni si rifiuta di far fronte alle rivendicazioni del padrone di un tempo. Alla fine pagherà, ma in famiglia l'episodio verrà il più possibile nascosto e infine rimosso. Da questa situazione individuale prende avvio la ricognizione di Géraldine Schwarz, che allarga subito la visuale mettendo in evidenza come la «mancanza di memoria» della sua famiglia trovi un pendant nelle strategie politiche della Germania nel dopoguerra: Adenauer, il primo cancelliere tedesco, se da un lato vincola il paese alle democrazie occidentali, dall'altro in molti ambiti della vita pubblica tollera la presenza di importanti personaggi del regime hitleriano. Bisognerà attendere sino agli inizi degli anni Sessanta, prima che nell'opinione pubblica tedesca si avvii quella riflessione sulle proprie colpe che ha portato alla Germania contemporanea. Ma la disamina dell'autrice si sposta ben presto anche su altri paesi come l'Italia, dove per anni ha potuto tranquillamente essere rappresentato in Parlamento il Movimento sociale italiano, un partito che non nascondeva le sue radici fasciste; o l'Austria sempre ben attenta a negare l'entusiasmo con cui Hitler e le sue truppe vennero accolti il giorno dell' Anschluss o infine l'altro paese di origine di Géraldine Schwarz, la Francia, dove dietro il mito della resistenza si sono nascoste le precise responsabilità di molti cittadini: fra questi, forse, anche il nonno materno dell'autrice, di cui non si sa molto oltre al fatto che fu gendarme in una zona dove il governo di Vichy dava la caccia agli ebrei. E sono proprio i paesi in cui la rielaborazione critica di quegli anni è stata carente, in cui hanno avuto la meglio i «senza memoria», questa la tesi centrale e attualissima del libro, ad apparire oggi particolarmente esposti al populismo e al sovranismo, a tollerare e fomentare il razzismo, e a propugnare una concezione antidemocratica della vita politica.