Come fu letto il Vangelo di Matteo dagli "hoi exo" - "quelli di fuori", come li chiamavano le comunità cristiane -, greci per nascita e per cultura, che lo scoprirono nella loro lingua comune, la koiné, così chiara e naturale, nonostante il sostrato aramaico ipotizzato dagli studiosi? Ce ne fornisce un'idea la traduzione di Enzo Mandruzzato, che aderendo con assoluta fedeltà al testo greco di Matteo ne fa risaltare la purezza remota, la ruvidezza e arcaicità. Per la sua notevole diversità rispetto alle versioni canoniche, essa può sconcertare e suscitare anche obiezioni di carattere filologico, ma ha indubbiamente il merito di consentire al lettore di avvicinarsi, come per la prima volta, all'archetipo testuale del "buon messaggio" - nel quale Cristo è ancora "l'Unto", la Chiesa "comunità", il battesimo "immersione" -, di riscoprire il senso e la sonorità originari delle parole che una millenaria stratificazione di traduzioni ha arricchito di profondi significati teologici, ma ha privato nel contempo della loro freschezza sorgiva. Nell'apparato di note che completa il volume, il curatore chiarisce le scelte linguistiche del suo lavoro e fornisce, insieme a informazioni sul contesto storico-geografico, i riferimenti veterotestamentari necessari alla comprensione di quella che può essere considerata come la prima grande sistemazione narrativa, operata da Matteo sulla scorta di Marco, delle sparse testimonianze orali e scritte della vita di Gesù.