Se il XX è stato il secolo della scoperta del bambino reale, supportata dalla nascita contemporanea della pediatria, della pedagogia e della psicoanalisi, il XXI sembra aprirsi come il secolo della sacralizzazione del bambino immaginario. La nostra società esalta a tal punto la dimensione infantile da arrivare a mitizzarla e, alla fine, a mistificarla. Grazie principalmente al controllo della procreazione, il bambino è diventato un ‘figlio del desiderio’. Prima era un dono della natura, un frutto della vita che si esprimeva attraverso noi, ma spesso malgrado noi. Ora è il risultato di una volontà espressa, di un progetto definito. E questo, accompagnato e rafforzato da altri cambiamenti inediti, come il discredito della maturità, che porta all’ossessione di ‘restare giovani’, o la crisi della visione del futuro, che si fa sempre più vago e indefinito, ha effetti potenzialmente drammatici, con ricadute sull’educazione, sul modo di concepire la famiglia e, soprattutto, sui meccanismi di definizione della personalità. Su questo bambino desiderato finiscono per pesare come macigni le aspettative dei suoi genitori e della società. Egli si trova ad avere il compito improbo di risplendere nella sua individualità singolare quando ancora non ha gli strumenti per capire se stesso e il suo posto tra gli altri. Deve vivere in una famiglia che, contrariamente a quanto avveniva prima, non forma i bambini, ma ne viene, all’opposto, consacrata. Infine, deve fare i conti con un immaginario sociale che lo ha eletto a propria utopia, l’ultima speranza di vedere realizzato un mondo diverso. È questa la ‘rivoluzione antropologica’ dei nostri giorni su cui ci invita a riflettere il filosofo e sociologo francese Marcel Gauchet. Egli porta alla luce, smascherandone i meccanismi, le rappresentazioni del figlio e le riconfigurazioni delle età della vita che tendono ad affermarsi nella nostra società e ci chiede di prendere coscienza dei rischi di questo mutamento. Nel culto dell’infanzia che abbiamo costruito, rischiamo di abbandonare il bambino a se stesso, alle prese con un universo opaco nel quale è stato gettato e del quale percepisce di non possedere le chiavi. E allora, ci esorta Gauchet, si tratta ancora una volta di ‘liberare’ il bambino. Come in passato è stato necessario strappare l’infanzia alla non considerazione nella quale era confinata come età indistinta da cui doveva emergere l’adulto, punto d’arrivo del riconoscimento sociale, ora occorre liberarla dall’immaginario che gli adulti hanno costruito su di essa in nome della sua innocenza, della sua differenza. Una differenza che, da conquista, oggi si trasforma volentieri in una prigione dorata.
Gli autori
Marcel Gauchet (1946) è directeur d’études all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e direttore del periodico «Le débat». Il suo volume più celebre, Il disincanto del mondo (1985; tradotto in italiano nel 1992), una storia filosofica della religione, è ormai un classico del pensiero politico francese. Sono tradotti in italiano anche: L’inconscio cerebrale (1994); La democrazia contro se stessa (2005); Il religioso dopo la religione (2005); Un mondo disincantato? Tra laicismo e riflusso clericale (2008); La religione nella democrazia (2009).