A Buchenwald, ogni notte, il musicista Jozef Kropinski si intrufola di nascosto nel posto più lugubre del campo: la stanza di dissezione del dipartimento di patologia. Lì sa di essere al sicuro, perché persino le SS preferiscono tenersi alla larga da quel posto inquietante, che ospita le tracce della follia dei medici nazisti. Alla luce di una candela, scrive spartiti di cui ogni nota è un atto di resistenza. Rischia la vita per la sua musica di denuncia, così come ha fatto ad Auschwitz, dove è stato prigioniero prima. Solo alcuni fogli sopravviveranno con lui e il suo violino alla marcia della morte nel 1945. Molti ha dovuto lasciarli nel campo, altri li ha bruciati per vincere il freddo. Dopo la guerra non riesce più a scrivere una nota, si ritrova muto davanti al foglio bianco. Finché un giorno alla sua porta si presenta l'usignolo di Sachsenhausen, Alex Kulisiewicz, l'uomo dalla memoria eccezionale che è quasi impazzito per memorizzare tutte le canzoni e le poesie clandestine che i suoi compagni di prigionia gli affidavano, milioni di parole che non smetteva un attimo di mormorare, per non dimenticarle. Auschwitz, Dachau, Buchenwald: nessun campo di prigionia è mai riuscito a soffocare l'afflato di libertà. Molti prigionieri hanno affidato alla sorte le loro parole, i loro canti, la loro musica, fiduciosi che il giorno in cui quelle tenebre si fossero diradate, avrebbero trovato orecchie per ascoltarli e cuori per accoglierli.