La Sindone ha avvolto il corpo di un uomo torturato e morto in croce. La scienza non è in grado di dimostrare come la sua immagine si sia formata sul telo, non sappiamo a chi appartenga e neppure chi lo ha fasciato prima della sepoltura. Le ferite rivelano tutti i devastanti effetti di una flagellazione romana e denunciano una sadica ferocia, consumata lentamente nel tempo: sono tagli e fratture che se si potessero attribuire a un unico individuo, a un falsario assassino, rivelerebbero una personalità disgregata e patologica. In altre parole, difficilmente una tale violenza si accorderebbe con le cure riservate a quel corpo dopo la morte. Il telo di Torino raffigura tutto il male che, come uomini, possiamo soffrire, e tutto il male che, come uomini, possiamo infliggere. Tuttavia, con il suo volto solenne e maestoso, l'uomo della Sindone non vuole compassione, non giudica, non chiede giustizia, non condanna: anzi, è un condannato, il più vile tra i condannati. Identificarsi con lui è difficile, perché è morto, perché ha perduto; è un colpevole, un vinto, e il supplizio della croce ne dà testimonianza. Le analogie con l'uomo Gesù sorprendono e intimoriscono.