"Il Sabba" non è soltanto il "romanzo di formazione" del più scandaloso, sfrontato, geniale avventuriero che si sia aggirato nella Francia tra le due guerre e la cronaca irriverente di un'epoca dedita a tutti gli eccessi: è molto di più. E il libro di uno scrittore la cui prosa "deriva in linea diretta da quella di Saint-Simon", come ha decretato Maurice Nadeau, che ritiene Sachs degno di figurare "tra i grandi moralisti francesi". Di quella Parigi che nel primo dopoguerra è diventata "il centro del mondo" artistico e letterario, e per ciò stesso di tutte le stravaganze, di tutte le dissolutezze, Maurice Sachs è un cronista sagace, arguto, sarcastico, ma anche uno dei protagonisti più scapestrati: frequenta gli scrittori alla moda (di alcuni di essi, Cocteau e Gide tra gli altri, si possono leggere ritratti di una corrosiva lucidità), dissipa denaro non suo, accumula debiti, ruba ai suoi migliori amici, si fa battezzare (lui, di famiglia ebrea), entra in seminario, ne esce dopo sei mesi con un'accusa di corruzione di minore. Trasferitosi in America, sposa, quasi per sfida, la figlia di un pastore protestante, che abbandona dopo pochi mesi per un giovane americano, con il quale torna a Parigi: a fare altri debiti, a vivere di più o meno miserabili truffe, a gonfiarsi di alcol, a sognare di scrivere un grande romanzo. Non lo scriverà mai. Sarà la sua stessa vita, invece, a diventare una narrazione di assoluta, sorprendente singolarità. Con una nota di Ena Marchi.